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- "Crisi di Classe": il punto di vista di Giovanni Pedone sulla crisi economica mondiale


Sinossi *:
Il racconto della crisi devastante che ha investito l’America nell’aprile del 2007 attraverso interviste a professori universitari, economisti, scrittori, antropologi, ma soprattutto attraverso le storie e le testimonianze dirette delle persone comuni, che di quella crisi hanno subito le conseguenze più drammatiche.
Un viaggio attraverso l’America e le periferie dell'Europa disunita, per capire le motivazioni della dissolvenza del “sogno americano”, a tre anni dal devastante cortocircuito che ha colpito l’economia mondiale. Un’analisi lucida dello smarrimento e della crisi d’identità del ceto medio, tra illusioni e speranze, inganni e promesse mancate, nell’apparenza di una crescita perenne e di una vita presa a prestito. Con l’idea di indicare la giusta via da seguire per ricostruire la fiducia e trarre insegnamento dalla “lezione americana”.

NOTIZIE 'Crisi di Classe'



Note:
GENESI DI UNA CRISI
Primavera 2007. Una crisi devastante si abbatte sulle sponde dell'America e trascina con sé, come in un castello di carte, le piazze finanziarie di tutto il mondo. Le radici sono profonde e vanno ricercate nel processo di de-regulation avviato da Reagan e proseguito dall'Amministrazione Clinton. A questa miscela si aggiunge la politica monetaria condotta con tassi d'interesse straordinariamente bassi da parte della Federal Reserve, la Banca centrale Usa, e dal suo presidente Alan Greenspan (dall'87 con Reagan, fino al 2006 con Bush jr.) che, per mantenere crescita e occupazione, deve necessariamente abbassare i tassi. Cosa che avviene con modalità che non hanno precedenti nella storia dell'economia mondiale. La politica del credito facile di quegli anni non fa altro che distribuire liquidità a bassissimo costo, annacquando le fondamenta dell'economia e compromettendo la ripresa. È facile per Bush jr. adoperarsi alla diffusione della nuova cultura del debito accessibile a tutti. In questo modo, per invogliare il maggior numero di consumatori a contrarre debiti e a farsi carico di sempre più mutui, le garanzie vengono ridotte. Vengono introdotti prodotti ingannevoli, come i "teaser rates", cioè tassi appetibili studiati per attirare clienti. Finché i prezzi delle abitazioni aumentano in rapporto ai tassi, gli americani possono fingere di non accorgersi di essere sempre più indebitati. L'elargizione popolare di mutui anche a soggetti non in grado di rimborsarli fa comodo a tutti: venditori, società finanziarie, agenti immobiliari, costruzioni, broker, banche, governi e cittadini stessi. Ma è proprio questo decadimento della qualità del credito e il conseguente riprodursi dei mutui cosiddetti “subprime”, mutui contratti a condizioni onerose, a portare allo scoppio della “bolla immobiliare”. Il sogno americano della possibilità per tutti di una casa, una famiglia e una posizione sicura nella società, si trasforma in un incubo capace di travolgere l'intera classe media.
All'esplosione della crisi dei mutui subprime segue la decisione da parte delle banche di congelare le quote dei propri fondi di investimento, sospendendo la compravendita per impedirne il deprezzamento e creando i presupposti per i crolli in Borsa. Ciò innesca una spirale ribassista dei titoli bancari e finanziari. La repentina inversione di tendenza della politica monetaria provoca una restrizione ingestibile delle condizioni del credito a cui devono far fronte improvvisamente i possessori dei mutui subprime. Questi, impreparati e disinformati, si ritrovano insolventi a causa del rialzo dei tassi e quindi delle rate di mutuo e si vedono costretti a vendere le proprie abitazioni a prezzi decisamente bassi. Per far fronte alle rate crescenti dilagano sul mercato numerose ondate di svendita delle abitazioni. Il successivo e continuo rialzo dei tassi di interesse porta 2 milioni di famiglie americane sul lastrico.
Appare chiaro come la bolla immobiliare abbia indotto gli americani a vivere ben al di là delle proprie possibilità. Ma ormai è troppo tardi.
Nell'Agosto 2007, si diffondono a macchia d'olio le preoccupazioni su un possibile crollo dell'industria dei mutui subprime che provoca una netta caduta degli indici di Borsa sui listini di tutto il mondo. Le ripercussioni del contagio si traducono in pesanti perdite per le Borse asiatiche ed europee facendo registrare una serie di record negativi tuttora inviolati. Le Banche centrali di tutto il mondo provano a reagire iniettando miliardi e miliardi di liquidità per sostenere disperatamente i corsi azionari. Le autorità monetarie agiscono come prestatori di ultima istanza, con interventi mirati e precisi, prima di abbassare in un secondo momento il costo del denaro per assicurare abbondante liquidità all'intero sistema. Nell'area Euro, per la quantità di moneta immessa in circolazione, si verifica il più massiccio intervento nella storia della Banca centrale europea.
Nell'autunno 2007 la situazione si aggrava. Il governo americano lascia fallire un'istituzione della finanza mondiale, la banca d'affari Lehman Brothers. Lunedì 15 settembre 2007 il tempio della finanza trema. Le azioni Lehman crollano violentemente dell'80% nella fase di pre-apertura alla Borsa di New York trascinando poi l'indice Dow Jones sotto di oltre 500 punti. Un terremoto che si trasmette in tempo reale a tutte le piazze finanziarie mondiali facendone colare a picco i listini. L'inaspettata bancarotta della quarta banca d’investimento degli Stati Uniti rappresenta l'apice della crisi. Fondata nel 1850 da tre fratelli tedeschi commercianti in cotone e passata indenne per la grande depressione del 1929, Lehman Brothers è costretta a fallire sotto il peso di 85 miliardi di dollari di perdite e 613 di debiti. La contrazione di consumi ed investimenti fa il resto portando l'economia in recessione: con l’aumentare dei tassi d'interesse per far fronte alla crisi, il valore delle case poste a garanzie dei mutui crolla proprio mentre salgono le rate. Ciò crea problemi di pagamento a coloro che hanno un mutuo o che sono stati appena licenziati e di conseguenza obbliga le banche ad avviare processi di pignoramento e di vendita delle case. L’offerta di case pignorate si riversa sul mercato contribuendo a deprimere i prezzi degli immobili, danneggiando il già fermo mercato immobiliare. Il contagio sul resto del mondo è immediato, visto che non ha più senso parlare di distanze, frontiere e sistemi separati quando siamo di fronte ad un unico grande mercato planetario.
Dagli Stati Uniti l’onda recessiva si propaga sulla dorsale medio atlantica colpendo dapprima l'Islanda, con il fallimento contemporaneo delle tre banche principali dell'isola, per poi riversarsi sulle sponde del Vecchio Continente. In Europa il cortocircuito si espande velocemente e le Borse dell'area Euro accumulano molteplici perdite nel corso dell'anno. Un effetto domino implacabile.
Ad inizio 2008 la Danimarca entra in recessione. La Spagna viene colpita al cuore delle sue risorse, immobiliare e turismo. Il Regno Unito si vede costretto ad avviare la nazionalizzazione degli istituti in crisi, mentre la banca franco-belga Fortis è salvata dal fallimento grazie all'intervento massiccio dei governi francese, belga e lussemburghese. La crisi Greca è solo la punta dell'iceberg di un problema di bilancio e stabilità che coinvolge i Paesi meridionali di Eurolandia accomunati dal forte debito. L'Italia ha saputo meglio degli altri Paesi assorbire lo shock della crisi grazie alla solidità del sistema bancario e all'apporto del risparmio netto delle famiglie.
Da fine 2008, il prepotente rialzo dei prezzi mette a rischio l'intera filiera, in un contesto di ribassi generalizzati nelle Borse di tutti i continenti. L'aumento dei prezzi delle materie prime si riversa nell'aumento dei costi finali di produzione, minacciando l'ultimo baluardo di resistenza alla crisi: i consumi. La trasmissione della crisi all'economia reale è completa quando viene attaccato l’equilibrio dei conti pubblici, specie dell’Europa meridionale. Il sovraindebitamento ormai non riguarda tanto le fasce deboli, ma sempre di più il ceto medio. La radiografia della società in Italia resta implacabile. Come certifica Bankitalia, la vera ricchezza resta nelle mani di pochi: appena 2 milioni 380mila famiglie italiane, ovvero il 10% del totale, posseggono il 45% della ricchezza netta complessiva, che ammonta a 3.686 miliardi di euro (su un totale di 8.284 miliardi). In un Paese in cui le curve della distribuzione della ricchezza sono immobili e inique da 20 anni la polverizzazione della classe media è quindi un dato di fatto.

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