Note di regia del video "Roma"
Il filmato e un collage di immagini che ho raccolto nel corso di un decennio e la stessa cosa vale per il lavoro di Alvin Curran che ha composto la colonna sonora con frammenti e suoni registrati a Roma nel corso degli anni.
Con tutta la cultura che si ritrova, Roma è sorprendentemente vuota, ha un vuoto chiassoso, sottomessa dalla sua stessa storia.
Il film va visto come una lunga soggettiva dell' impatto della città sullo stato mentale di uno straniero. Non ci mostra la realtà delle borgate o la vita dei quartieri, ma inizia là dove la confusione della città comincia ad agire sulla psiche del visitatore, dove l'aspetto monumentale crea delle illusioni.
Fellini diceva che nonostante la natura imperiale, papale e fascista, Roma è in realtà una città Africana. Questo è lo spunto per la mia “Roma” che vuole essere la visione dello straniero che vive le contraddizioni della Città. E' una visione nella quale dialogano il sacro e il profano, il volgare e il poetico, l'eterno e l'effimero per mostrarci una città piena di fantasmi e memorie inafferrabili.
E' vero che i due danzatori, uno bianco e un nero, semi-nudi in una chiesa sconsacrata, possono dare l'impressione di un semplice dialogo di contrari tra il sacro e il profano, ma per me rappresentano la lotta per congiungere due tendenze in una sola figura. Sono il conflitto all'interno di una persona che cerca l'armonia.
Strutturalmente il film è un trittico, come il Napoleone di Abel Gance e Chelsea Girls di Andy Warhol, e mette in gioco il linguaggio del cinema con quello della video arte per un’ipotesi di un cinema elettronico.
Mi viene in mente quanto diceva Anna Maria Ortese a proposito di Roma (La diligenza della capitale" in La lente scura, Adelphi) e che per me è una sorta di sintesi di quello che ho voluto raccontare:
"
Sono stata a Roma più volte e sempre il più grande spettacolo, quello più pregno di domande, è stato la sua folla, l'onda di carne che riempie le sue strade....il carattere sacro della città è visibile ovunque, in ogni punto della sua pelle, come un tatuaggio: l'urlo delle campane, le botteghe sovraccariche di immagini dorate e di chiese in miniatura per il turista; i poveri, i monchi, le finte madri, l'infanzia autentica, sottratta alla casa....E su ogni volto, come una luce ch'è possibile in certi luoghi stregati, quell'aria d'insensibilità enorme, da lebbrosario, ch'è la caratteristica più sottile della città; una insensibilità da cui non è escluso né il ricordo né la compassione né il fremito, ma che si perde e impietra, per così dire, nell'estasi..."
Theo Eshetu