10 ANNI DAL G8 - Teresa Paoli: "Lo spartiacque della mia vita"
Cosa ricordi del G8 del 2001 dove partecipasti come mediattivista e regista?
Teresa Paoli: Del G8 ricordo ogni singolo momento. E' stato lo spartiacque della mia vita, la perdita di una parte della mia ingenuità e di una parte della mia fiducia nelle istituzioni. Ma è stato anche un momento di fortissima carica ideale che ha segnato nel profondo me e un'intera generazione.
Come furono realizzati e poi montati i documentari "Genova Senza Risposte" e "Solo Limoni" alla luce dei fatti di quei giorni?
Teresa Paoli: A Genova c'erano tante telecamere. Tra queste anche la mia, allora mediattivista di Indymedia, quella di
Stefano Lorenzi e quella di
Federico Micali, attivo nel legal forum come avvocato. Io, Stefano e Federico eravamo (e siamo) amici, essendoci conosciuti durante uno stage di regia alla Scuola Anna Magnani di Prato, ma non avevamo programmato minimamente di fare un documentario insieme. E' nato tutto per caso una volta ritornati a casa, quando ci siamo accorti dell'immensità di girato che ci era rimasto e che si completava perfettamente. Infatti a Genova non ci siamo mai incrociati e abbiamo vissuto momenti e situazioni completamente diverse. Stesso discorso per la collaborazione con Giacomo Verde, che poi ha realizzato il suo "
Solo Limoni". "
Genova Senza Risposte" l'abbiamo autoprodotto solo per un motivo: tentare di spiegare ai nostri cari e a chi ci stava attorno, cosa era veramente successo in quei giorni. Poi
Gianluca Arcopinto, produttore e autore con una vena di follia, pensò di fare la trasposizione in pellicola e di distribuirlo al cinema. Un autentico miracolo.
Come hai vissuto l'uccisione di Carlo Giuliani e quale fu la tua reazione a caldo e poi a mente fredda?
Teresa Paoli: Ad un certo punto si era sparsa la voce che avevano ucciso un ragazzo dopo la carica al corteo dei "disobbedienti". Si diceva fosse straniero. Poi, dopo qualche ora, la verità è arrivata, nuda, orribile. Alcuni di noi volevano andarsene la sera stessa. La disperazione aveva preso il sopravvento. Poi tutti insieme abbiamo deciso di rimanere, più uniti che mai. Ho conosciuto
Haidi Giuliani, una donna molto forte, di una sensibilità imbarazzante, che non ha neppure avuto la consolazione di un processo per i fatti di Piazza Alimonda perché fu tutto archiviato nel 2003. Non voglio parlare di Placanica, all'epoca un ragazzino impaurito, vittima anch'egli di qualcosa più grande. Voglio ricordare solo le parole di Haidi che mi sono rimaste stampate nel cervello e che sull'esasperazione di quei giorni dice: "
E' abbastanza amaro dire che per fortuna è morto solo Carlo".
Cosa ha significato essere una "documentarista" che realizza un film durante un G8 come quello di Genova?
Teresa Paoli: Certo anche all'epoca la mia ambizione era fare questo mestiere, ma non mi sentivo una documentarista in quei giorni. Ero andata a Genova il 16 luglio con un po' di amici, alcuni dell'associazionismo e del volontariato pratese, altri del mondo mediattivista, all'apertura del forum. Ricordo che io e la mia amica Caterina seguivamo ogni giorno, diligentemente, tutti gli incontri, per poi sintetizzarli e metterli on line sul sito di Indymedia. Un twitter ante litteram. L'atmosfera era meravigliosa, con persone di tutto il mondo a confrontarsi sui grandi temi: l'acqua, il diritto alla salute, la redistribuzione della ricchezza, la condivisione dei saperi etc. Si aveva la sensazione di appartenere a qualcosa di grande, che si interessava finalmente al mondo e non ai propri problemi di categoria e di generazione. Non so con quale grado di efficacia, ma l'intento era quello. Non avrei mai, mai pensato ad un epilogo del genere.
"Genova senza Risposte" si apre con questa frase: "La paura che la gente non ti creda, creda che esageri, che non è possibile che quello che dici di aver visto è vero" ci puoi spiegare meglio il significato? Da chi fu detta?
Teresa Paoli: Era la sintesi perfetta di quel che ci motivava a realizzare il documentario. E' quello che abbiamo provato: non soltanto la paura di quei giorni, in cui all'improvviso sembrava ci dovessimo sentire in colpa per il solo fatto di trovarsi a Genova e di avere un pensiero diverso. La paura si era poi trasformata una volta tornati a casa in paura di essere soli, non capiti, additati. Era davvero difficile spiegare e spiegarsi. "
Genova Senza Risposte" è servito a questo.
Per concludere, come ti ha segnato quella esperienza a dieci anni di distanza?
Teresa Paoli: Non nascondo che dopo i primi tempi in cui parlare di Genova sembra esser diventata una terapia di gruppo per superare lo shock, ho avuto qualche anno di rigetto in cui volevo andare avanti, metterci una pietra sopra.
Oltre alla tragedia di Carlo e alle varie atrocità compiute, nel piccolo imputo al G8 un altro delitto: l'assassinio della purezza, della fiducia incrollabile nella giustizia e nelle istituzioni che accomunava me e molti attivisti a Genova.
Nel frattempo i vari capi delle forze dell'ordine di quei giorni hanno fatto carriera. Le responsabilità politiche non sono state mai state chiarite e il mondo, in generale, è allo sfascio. Insomma, a dieci anni di distanza c'è ancora tantissimo da fare e non sono io a sapere la direzione da prendere. Ma vedo anche che qualche seme di Genova ha iniziato a germogliare. Penso ai risultati dei referendum, al fallimento del neoliberismo riconosciuto dal mondo intero, alla riflessione condivisa che prima di una globalizzazione delle merci è bene pensare ad una globalizzazione dei diritti, alla diffusione di massa del mediattivismo (ricordo lo slogan "don't hate the media, become the media") che è stato parte importante nelle rivoluzioni del Mediterraneo. Penso ai legami di amicizia, rinsaldati in quei giorni, e arrivati fin qui. E penso, infine, alle tante persone che nel privato mettono in pratica quel vecchio motto del 'mondo diverso possibile' con umiltà e senza clamore. E questo mi dice che gli anni non sono trascorsi invano.
21/07/2011, 09:00
Simone Pinchiorri