Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Note di regia de "I nostri anni migliori"


Note di regia de
Sono stato in Tunisia nel 2009, a condurre un laboratorio di video partecipativo. E ne ero tornato convinto che quel paese non sarebbe cambiato mai. Troppo salda la presa di Ben Ali e del suo clan.
Troppo narcotizzata la popolazione dopo 23 anni di dittatura, di ferreo controllo dei media e di pensiero unico. Un paese in cui il giorno dell’anniversario dell’indipendenza il giornale era pieno di annunci di privati ed associazioni professionali che facevano, non certo spontaneamente, auguri e felicitazioni al Presidente. Un paese dove il dissenso era soffocato nel sangue (come racconta nel suo splendido reportage del 2008 Gabriele Del Grande).
Mi sembrava impossibile che le cose cambiassero in Tunisia. Ancora più impossibile che in Italia. Il che è tutto dire. Eppure. Eppure, dopo un ondata di suicidi iniziata con Mohammed Bouazizi e proseguita per tutto dicembre 2010, un intero paese prende fuoco. E quella scintilla accende un mondo intero. L’Egitto, certo; e la Libia, la Siria, lo Yemen; e l’Algeria ed il Baherin. Ed, in forme diverse, il Marocco, l’Iraq, in Sudan. E persino l’Arabia Saudita ed il Kuwait.
Un mondo intero, che dall’Italia vedevamo confusamente, e credevamo immobile. No, qui da noi non ci siamo accorti della portata storica di quella rivoluzione: quando una minima parte di quell’onda s’infrange sull’Italia, non sappiamo fare altro che rifugiarci nell’isteria dell’invasione. Nella distinzione pelosa, ignorante e vigliacca fra profughi “veri” e fighetti con le scarpe firmate. Nel tentativo maldestro di dirottare quel flusso sulla Francia e su altri paesi, con i permessi temporanei validi per lo spazio Schengen, i titoli di viaggio ed i biglietti del treno per Ventimiglia regalati a mazzi alla stazione di Roma.
E invece io resto convinto che quella storia, il coraggio e la lucidità di quella rivoluzione, noi Italiani dobbiamo ascoltarla. E non solo per riconoscere nell’invasore con le scarpe firmate un essere umano, nella pienezza di diritti, di spessore, di complessità di un essere umano, ma anche perché quella storia ci interessa e ci riguarda, perché quella rivoluzione ha cambiato anche un pò le nostre vite, anche se non ce ne rendiamo conto. Perché questo paese di vecchi non ha molta strada davanti, se non è in grado di capire cosa succede ad un braccio di mare dai nostri confini.

Stefano Collizzolli

Verso la fine di febbraio 2011, dopo essersi uniti al movimento spontaneo e dirompente che ha messo fine al regime di Ben Alì, alcune migliaia di giovani tunisini sono approdati sulle nostre coste.
In quei giorni il racconto mediatico italiano viene riempito quasi esclusivamente dalle retoriche xenofobe del nostro governo, intento a costruire la percezione collettiva di un’invasione.
Senza sprezzo del ridicolo questi arrivi sono ribattezzati dai nostri politici come “orda barbarica”, “tsunami umanitario”, “emergenza biblica” e le immagini di una Lampedusa al collasso alimentano l’incubo della mancanza di sicurezza degli italiani facendoci perdere completamente il senso delle proporzioni.
In tutto, infatti, si contano circa ventitremila migranti, cifra piuttosto esigua per un paese di sessantamilioni di abitanti che in passato si è trovato a gestire flussi ben più ampi.
Il governatore veneto Zaia punta il dito verso questi ragazzi, sono giovani, energici, con vestiti griffati e il telefonino in mano, non scappano da nessuna guerra ne tentano di fuggire dalla morsa della fame. Questo è quello che da veramente fastidio: non sono profughi affamati, non possono essere usati in nessun modo per far leva sulla pietà e il senso di colpa degli italiani, non vi è quindi alcuna ragione per accoglierli.
Limitare la loro libertà serve solo a garantire la Nostra, a rafforzare le Nostre piccole sicurezze e a superare le Nostre paure.
Per i loro coetanei europei viaggiare è un diritto irrinunciabile che nessuno metterà mai in discussione, ma per chi è nato dalla parte sbagliata del Mediterraneo non è così.
Esistono leggi e divieti che li vorrebbero costretti all’immobilità, relegati a uno spazio facilmente controllabile da cui non rischiano di minare il privilegio europeo.
Questo documentario vuole rendere omaggio a questi giovani che con il sorriso sulle labbra, si sono messi in viaggio per riprendersi il diritto fondamentale alla Libertà, in tutte le sue forme, attuando una nuova inconsapevole rivoluzione che mette in crisi l’Italia tutta, scardinando l’ipocrisia di stato, i finti buonismi caritatevoli dell’accoglienza e mostrando finalmente senza veli il vero volto razzista del nostro Paese.

Matteo Calore