Il "Mare Chiuso", purtroppo, è proprio il nostro
Non è mai stato un argomento molto discusso, e ormai non lo è quasi più. Ma ciò non significa che
il problema dei migranti che arrivano in Italia dalla Libia su barche di fortuna sia risolto, anzi: il nostro precedente governo aveva trovato con il regime di Gheddafi accordi vergognosi per impedirne l'arrivo, lasciando alla Libia il permesso di imprigionare e torturare i profughi purché impedisse loro l'approdo sulle nostre coste.
Una politica che ha subito un inevitabile arresto con la caduta di Gheddafi e la guerra di Libia, ma che mai è stata ufficialmente "dismessa" dall'Italia.
Andrea Segre prosegue il suo percorso di approfondimento sulla tematica della migrazione africana: la sua filmografia comprende (in vari ruoli, prevalentemente da regista) documentari fondamentali della storia recente tra cui "A sud di Lampedusa", "Il sangue verde" e "I nostri anni migliori", ma è soprattutto l'acclamato "Come un uomo sulla terra" - diretto insieme a Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene - quello che più si lega al nuovo lavoro.
Là ci si fermava ad analizzare
l'inizio di questa politica libica portata avanti col consenso (e il finanziamento)
di Italia ed Europa, qui si fa il punto quattro anni dopo.
Fuggiti dalla Libia, i più fortunati sono riusciti a raggiungere la Sicilia o la Tunisia, ma
molti sono stati vittima di respingimenti verso una Libia in cui non esisteva più alcun tipo di diritto, e in cui soprusi, torture e violenze erano purtroppo all'ordine del giorno.
I due registi (Segre e Stefano Liberti, promosso alla direzione dopo aver collaborato in fase di scrittura ad alcuni dei precedenti documentari) hanno
raggiunto il campo profughi di Shousha al confine libico-tunisino e due centri per richiedenti asilo, e lì hanno dato
voce diretta ai protagonisti di queste vicende per far loro raccontare in prima persona cosa è successo.
Un racconto toccante senza scadere nel patetismo, un documentario ricco di informazioni e approfondimenti (filo conduttore è il processo contro l’Italia alla Corte Suprema dei Diritti Umani di Strasburgo, dove una ventina di respinti hanno presentato ricorso per i maltrattamenti subiti dai nostri connazionali) e impreziosito da
immagini evocative e inquadrature curate.
Anche se poi forse quello che più resta nella mente dello spettatore rimane
il filmato sgranato di un cellulare che riprende il canto di gruppo liberatorio e ignaro di alcuni migranti su un barcone alla deriva poco prima dell'arrivo della nave che li riporterà tragicamente indietro.
22/03/2012, 10:54
Carlo Griseri