Fondazione Fare Cinema
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Note di regia di "Una su Tre"


NOTE DI REGIA In questi anni ho sentito l’esigenza, nel mio lavoro, di confrontarmi spesso con il tessuto sociale della nostra società firmando servizi di costume, inchieste giornalistiche e docu-fiction. Uno dei film più importanti che ho realizzato è Foku (Fuoco sporco), un mediometraggio dove temi come il disagio, l’immigrazione, l’integrazione, il contesto metropolitano e la scoperta di una realtà inimmaginabile ed invisibile per chi ne vive ‘fuori’ sono stati gli elementi che mi hanno spinto a raccontare la storia, vera, di quattro ragazzi rumeni e della loro lotta per la sopravvivenza all’interno dell’ ex area industriale Falk alle porte di Milano. Foku ha raccontato con grande coinvolgimento umano e visivo un “interessante” microcosmo carico di piccole storie di disagio e varie irregolarità (nomadi, ragazze madri, piccole bande più o meno di passaggio). Ora le stesse sollecitazioni mi vengono da questo progetto che racchiude in sé tematiche sociali forti. La discriminazione, l’impossibilità di una completa emancipazione, la difficoltà di vivere il nostro tempo in maniera dignitosa, ma soprattutto la violenza sulle donne da parte dei propri compagnimariti- amanti (che spogliati dalla propria identità di “uomo” ne diventano i padroni assoluti) diventano per me, come essere umano e come regista, argomenti con cui sento la necessità e l’urgenza di confrontarmi.

Le storie che abbiamo raccontato in Una su tre sono storie che appartengono a donne provenienti da differenti città ma che, inevitabilmente, assumono un valore universale, divenendo emblema della condizione della vittima e della sua relazione con l'aggressore. Da un punto di vista estetico, la regia si esprime in tre differenti “registri” perfettamente integrati tra loro, in una narrazione che non dimentica di restituire la realtà e la veridicità dei fatti. Nel primo registro, attraverso la lettura di un vero verbale da parte di un autentico poliziottonarratore, raccontiamo la denuncia di una donna, usando una modalità di narrazione più vicina alla docu-fiction. Tramite l’utilizzo di carrelli, movimenti lenti e continui di macchina, piani di ripresa differenti, una fotografia ad hoc, restituiamo allo spettatore una storia, se pur messa in scena, assolutamente vera. Nel secondo, attraverso interviste ad operatori sociali, associazioni, psicologi, magistrati, poliziotti che si occupano del problema, si dà un taglio più documentaristico dove la macchina racconta per primi piani le varie testimonianze.

Il terzo è il registro “dell’ascolto”, a metà tra i due sopra citati. Ascoltiamo le storie delle vittime della violenza grazie alla lettura e all'interpretazione dei loro resoconti da parte di attrici note al pubblico, pronte a prestare volto e voce a queste donne. L'eccezionalità delle lettrici si pone in antitesi rispetto alla tragica quotidianità degli episodi di violenza, la popolarità delle prime marca l'assoluto oblio in cui sono lasciate le vite delle seconde. La scelta di non voler dare un volto alle storie raccontate, o darne una differente identità, nasce proprio dalla volontà di non volersi legare a dei visi: come se queste voci, queste storie, possano testimoniare o meglio rappresentare tutte quelle donne che ogni giorno subiscono violenza domestica. Non dimentichiamoci che nel nostro paese ed in Europa una donna su tre ha subito o subisce violenza da parte del marito, fidanzato o convivente. Grazie ad una serie di storie e didascalie Una su tre restituisce così a molti un Europa pressoché sconosciuta, dove le vittime della violenza maschile ormai superano ampiamente il milione di casi al giorno. Un paese dove le donne che hanno subito maltrattamenti combattono quotidianamente nel tentativo di ricomporre una propria identità, di donna e di madre, in un mondo che sembra aver perduto qualsiasi traccia di coraggio e di coscienza civile.

Claudio Bozzatello