Note di regia del documentario "Bella
Ciao, il Silenzio dei Comunisti"
Un film assomiglia al modo in cui è stato prodotto e girato (« Un film, c’est l’histoire de son tournage » ha detto Jacques Rivette) ed è il caso di « Bella Ciao, le silence des communistes » : non avendo trovato un produttore, l’ho interamente prodotto con materiale prestato qua e là, con collaboratori che hanno accettato di lavorare in partecipazione perché hanno creduto nel progetto, con foto e immagini d’archivio ottenute gratuitamente, ecc...
E’ cosi che il film ha preso la sua forma (il progetto originale era forse più ambizioso e richiedeva più mezzi - in soldi e in collaboratori – che non avevo) e si è realizzato in modo molto più leggero, più libero, senza quelle visioni nelle quali i coproduttori si sentono obbligati di dare il loro parere o di far cambiare delle cose soltanto per il fatto che hanno messo un po’ di soldi.
Dunque, questo film è quello che volevo e anche se tecnicamente soffre del modo di come è stato prodotto, per me l’importante era di dare la parola a quegli uomini e a quelle donne che dal 1991, dalla radiazione del loro partito, sono stati obbligati di tacere senza veramente capire il perché (« Il PCI non ha mai fatto nulla di male » dice uno di loro).
E la cosa importante è li, in quelle parole, in quelle frasi che gli ex-iscritti al PCI possono infine dire, davanti una cinepresa, per liberarsi da un peso, da un secreto tenuto nel loro intimo da una quindicina d’anni.
L’importante è anche di aver finalizzato questo progetto che occupava la mia mente da tanto tempo, di aver potuto rispondere alle mie domande, anche se ho dovuto espormi personalmente. Ma parlare alla prima persona era una cosa che andava da sè perché realizzando questo film, non desideravo fare un’inchiesta sociologica (spero che altri la faranno un giorno) ma rispondere a delle domande personali che mi facevo. Ecco fatto.
Paolo Zagaglia