Note di regia del film "Su Re"
L’idea di questo film risale a diversi anni fa. Mi trovavo a Roma, nella chiesa di Santa Maria in via Lata, e fui colpito da una tavola che riportava su quattro colonne i brani dei Vangeli che descrivono i patimenti inflitti a Gesù.
Quelle descrizioni mi fecero pensare a diversi testimoni che avessero visto e poi raccontato lo stesso fatto in base alla propria percezione. Lo stile impersonale dei singoli testi sembrava trasformarsi, rinviare ai raccontatori e rivelare il tono incerto ma ancora più verosimile di un ricordo.
Provai nei giorni successivi a leggere il Vangelo trasversalmente, passando da un testo all’altro, e scoprii che il racconto assumeva un’imprevista forza drammatica.
Come mai in precedenza avvertii il dolore della tragedia che si narrava e la sofferta esperienza di tutte le umane vicissitudini. Fu allora che pensai a un film sul Vangelo, in cui le scene si ripetessero, quasi come nel “Rashomon” di Kurosawa.
Avrei trasposto la storia in Sardegna, perché è il mondo che amo e meglio conosco, permeato di valori che in certi casi sembrano rifarsi all’Antico piuttosto che al Nuovo Testamento.
Due universi molto distanti nello spazio e nel tempo si sarebbero incontrati, senza stupirsi l’uno dell’altro, trovando riscontro nella realtà di quel sogno che è nell’animo di molti, scoprire Gesù, qui, tra noi.
Nel corso della realizzazione, confrontando il progetto con gli esiti che man mano emergevano, l’idea dei “passi paralleli” riferiti ai singoli evangelisti ha lasciato il posto a un’idea forse meno ambiziosa ma altrettanto affascinante, quella di un sogno, in cui gli accadimenti si ripropongono nella loro perdurante drammaticità e in una sequenza non lineare. Proprio come nell’esperienza del ricordare rituale e collettivo che è la messa cristiana.
Ha invece preso risalto l’idea della trasposizione in Sardegna. Un’idea che ha un precedente nella pittura più che nel cinema. Modificando le coordinate geografiche e storiche dei fatti accaduti, le vicende originali tornano a vivere in una luce nuova e si arricchiscono di nuovi possibili significati.
Giuda, interpretato dal giovane Antonio Forma, è forse prossimo all’”eroe che si sacrifica con infamia”. Pilato, interpretato da Paolo Pillonca, appare condannato al confronto con la parte rimossa di sé, quella emotiva e femminile, rappresentata dalla moglie, la donna che nel Vangelo di Matteo, dopo avere sofferto in sogno, gli manda a dire: “non avere a che fare con quel giusto”. Maria, interpretata da Pietrina Menneas, è madre mediterranea, dolorosa e piangente ma anche orgogliosa e forte, interprete di un inesorabile principio di giustizia. Di fronte a Pilato e al popolo che chiede la morte di Gesù, Maria afferma l’innocenza del figlio e implicitamente enuncia la condanna dei suoi aguzzini.
Giovanni Columbu