Note di regia di "Matilde"
Quando l’Agfa (Associazione genitori con figli audiolesi) mi ha proposto di girare un cortometraggio sul tema della sordità, sono stato lusingato dalla richiesta ma al tempo stesso ho avuto qualche perplessità perché non sapevo se avrei trovato il linguaggio appropriato per parlare del loro mondo.
Nei miei lavori ho spesso raccontato storie di bambini, ma rappresentare il quotidiano di una bambina sorda è stata un’esperienza nuova. Il soggetto e la sceneggiatura del corto sono nati dopo aver incontrato i membri dell’Agfa e raccolto le loro testimonianze ed esperienze facendone tesoro. Durante una riunione il padre di Matilde, la bambina che ho poi scelto come protagonista, mi ha raccontato che nella classe di sua figlia avevano messo delle palline da tennis sotto le gambe delle sedie per attutire i rumori. (Oggetti che spesso sono utilizzati anche nel cinema sotto gli stativi per non graffiare il pavimento delle location dei film). Mi piaceva che la pallina da tennis potesse essere un simbolo di corrispondenza tra le due realtà espresse nel film. Bisogna anche solo provare a immedesimarsi nei panni di chi vive un disagio nella società. Per abbattere le frontiere bastano semplici espedienti. Un altro ragazzo sordo mi ha poi raccontato che da bambino aveva chiesto al maestro di tagliarsi i baffi perché non riusciva a capire ciò che diceva, persino a leggere il labiale.
Questi sono stati i primi input per scrivere la storia del cortometraggio.
Nei giorni in cui abbiamo sviluppato l’idea del corto ho anche frequentato il “Senza nome”, un bar di Bologna aperto da poco, gestito e frequentato da persone sorde. Volevo comprendere meglio la percezione di una quotidianità diversa dalla nostra e avvicinarmi il più possibile a quella realtà. Lì ho avuto modo di conoscere molti ragazzi che mi hanno raccontato le loro esperienze sin dai banchi di scuola e a cui mi sono ispirato per altri dettagli del film. Sotto consiglio dell’Agfa, ho scelto di lavorare esclusivamente con attori sordi per testimoniare che anche loro possono interpretare un film. Non esistono barriere tra il mondo degli udenti e quello dei non udenti, ma solo membrane che possono essere attraversate anche da una bambina di nove anni. L’Agfa mi ha anche chiesto che il film venisse sempre distribuito con i sottotitoli in italiano o nella lingua del paese in cui verrà proiettato.
“Matilde” è un film fatto per i non udenti. Ho voluto inserire una scena in cui anche gli spettatori udenti sono obbligati a leggere il labiale perché non sentono le battute dei personaggi, in quanto la scena si svolge in un interno mentre la macchina da presa è posizionata al di là di un vetro e dunque in esterno. Riguardo la scelta della protagonista, non ho dovuto fare dei casting. Quando mi hanno suggerito di scegliere Matilde, che è il vero nome della bambina che recita, sono andato nella sua classe.
Tra tutti i ragazzi spiccava il suo sguardo acuto e il taglio degli occhi. Non avevo dubbi riguardo alla scelta. Matilde era perfetta. Inizialmente, invece, non sapevo che titolo dare al film. Poi ho avuto un’idea. Nel corto si sente spesso chiamare il nome di Matilde: dal maestro, dalla mamma, dalla logopedista. Tutto ruota attorno alla bambina. Il suo nome risuona per tutto il film. Le altre parole non hanno l’importanza del nome Matilde. La forza del film è data dalla determinazione di questa bambina. I rumori delle sedie e i baffi del suo professore la disturbano. Ma da sola riesce a trovare una soluzione sorprendente per mettere fine ai suoi disagi e vivere serenamente con i suoi compagni di classe. Il messaggio voleva essere: basta poco per riuscire a far convivere due condizioni percettive diverse tra loro.
Vito Palmieri