BFF STORY - Gianni Volpi
Gianni Volpi, critico cinematografico e presidente dell'AIACE, fin dalle prime edizioni a Bellaria fu al fianco di Morando Morandini nella direzione del BFF.
Cosa ricorda dei primi anni del BFF?
Ricordo che la prima edizione avvenne in maniera un po' bizzarra: Zocaro, critico di FilmCritica, era in vacanza a Bellaria e disse a Barberini, personaggio fondamentale per il festival e allora a capo dell'Azienda di Soggiorno: “Si potrebbe fare un piccolo festival qui!”.
Non avevano film, hanno proiettato un paio di cose in un fine settimana. “La Repubblica” pubblicò la notizia della vittoria di Giancarlo Fumagalli, che telefonò chiedendo: “Dove avete preso la copia?”. “Non ce l'abbiamo, se vieni lo facciamo vedere!”, fu la risposta: questo per dare l'idea dei pochi mezzi che si avevano a disposizione.
Come ha fatto il festival a diventare da subito un riferimento per il cinema indipendente italiano?
Il BFF ha avuto un'incidenza molto maggiore rispetto ai mezzi tecnici ed economici di cui disponeva, e questo per diverse ragioni: c'era intanto una persona come Barberini che lo voleva fare, e che si rivolse a Morando Morandini - perché era un lettore de Il Giorno. Morando si rivolse poi a me (rimasi 10 anni, fino al 1992), per creare un triangolo Torino-Milano-Roma (con Zocaro).
Barberini difese il festival nel suo rigore alternativo contro tutti, anche contro il consiglio comunale, i sindaci che cambiavano e tutte le autorità fino a quando restò al suo posto, a inizio anni '90. Gli albergatori e di riflesso i politici volevano le “star”!
Abbiamo sempre avuto pochi soldi, ma giocando in sostanza sul nostro prestigio (di Morando) e sui nostri rapporti (i miei, che lavoravo su Raitre e su Linea d'Ombra) riuscimmo a far crescere il festival: a Roma si cambiò presto, con Zocaro non funzionava e arrivò Enrico Ghezzi su mio consiglio. Con Fuori Orario era già un punto di riferimento per i cinefili (non c'erano i satelliti all'epoca!). Questo era il panorama.
Tutti i grandi quotidiani parlavano di Bellaria, cosa non usuale e che ha dato lustro e fama al festival: erano gli anni '80, i festival erano figli dei cineclub (Montecatini dal FilmStudio di Roma, TFF da Il Movie...): c'era un'atmosfera favorevole nei loro confronti.
E poi il cinema italiano viveva un'atmosfera tremenda, non esordiva nessuno se non in maniera indipendente (come Soldini, ad esempio), l'Articolo 28 faceva uscire solo sottoprodotti, ma si stava diffondendo il video (che se da un lato dava accesso al mezzo anche agli amatori, dall'altro permetteva ai giovani di iniziare questo lavoro), con cui si finiva a girare il film “impossibile” che non si sarebbe mai riuscito a fare in modo “canonico”.
Quali furono i segreti del BFF?
Gli anni '80 per definizione sono gli anni più stupidi della nostra vita (non i peggiori, i più stupidi), ma c'era un tentativo di lavorare sulla produzione (a Milano Filmmaker produceva 4-5 film all'anno, mediometraggi o poco più, ma da lì è nato il cinema di Soldini, i film di Paolo Rosa,...).
Il punto fondamentale è che tutte queste cose che esistevano in giro per l'Italia trovavano a Bellaria il loro riferimento, e questo è stato il nostro (quasi involontario) merito. Il BFF ha fatto una serie di scoperte impressionanti, a leggere i nomi.
Inventammo due cose: il concorso dei “Tre minuti a tema fisso”, con un'iscrizione bassissima che veniva convertita in premio, e poi il premio Casarossa .
Come si concluse la sua esperienza al BFF?
Perché me ne andai (e se ne andò anche Barberini, e in teoria avrebbe dovuto andarsene anche Morando)? A parte le polemiche spicciole, che a distanza di 20 anni neanche mi ricordo più bene (c'erano state discussioni dure, sulla stampa locale e contro l'amministrazione), finì perché era finita una funzione.
Nel 1992 quando mi dimisi – non senza dolore – da Bellaria, Gillo Pontecorvo mi chiese di fare la stessa cosa che facevo lì per Venezia: il BFF aveva ancora un po' di senso, ma la funzione principale non c'era più perché Venezia iniziò a proporre il giovane cinema indipendente italiano e tutti andarono lì, che aveva più visibilità e per cui addirittura realizzavano appositamente i loro prodotti.
L'esperienza dei tre festival uniti (Cattolica, Rimini e Bellaria) con Bellocchio alla direzione fu disastrosa: ma io non c'ero già più. Un tentativo abortito subito, non per colpa di Bellocchio ovviamente ma per le differenze enormi tra i tre pubblici: non poteva funzionare e non ha funzionato.
Non sono più tornato a Bellaria, se non una volta quando hanno proposto “Benvenuto in San Salvario” di Enrico Verra, un autore amico che ha iniziato con me e al cui film tenevo moltissimo. Per il resto non ho più avuto alcuna frequentazione con il BFF.
31/05/2013, 09:00
Carlo Griseri