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Note di regia del documentario "La Meglio Gioventù di Mostar"


Note di regia del documentario
L’idea di realizzare un documentario sulla prima generazione cresciuta a Mostar dopo gli sconvolgimenti della guerra del 1992-1995 nasce dalla rilettura ad anni di distanza del libro del prof. Michele Calafato “Mostar. L’urbicidio, la memoria, la pulizia etnica”. Questo, scritto a ridosso della fine delle ostilità, tracciava il ricordo di quegli avvenimenti drammatici attraverso le testimonianze di cittadini mostarini e riusciva a dar vita a una vera narrazione fatta di un mosaico di immagini di “stretti” sulla vita della città.
La possibilità di trasporre in soggetto documentaristico questa narrazione, insieme alla domanda sulle prospettive di vita di una generazione che si trova come
contesa dal peso di valori, simboli e appartenenze di gruppo diverse e che affondano le radici in momenti diversi della loro storia recente, ha ispirato la
realizzazione del lavoro.
Oggi, Mostar è una città che molti tra le generazioni di adulti e anziani vivono ancora come segnata da una barriera invisibile costituita dalla linea del fronte di guerra. Ma è soprattutto un luogo mutato nella composizione umana, con una forte immigrazione che ha dato vita a nuove forme di contrapposizione, in apparenza meno visibili: non solo Croati/Musulmani, ma anche nuovi Mostarini/vecchi Mostarini, città/campagna, ricchi/poveri, elite politica/cittadini comuni. È infine un luogo dove la produzione materiale e simbolica trova scarse risorse per alimentare circoli virtuosi di crescita e dove l’influenza dell’apparato politico è onnipresente.
Il confronto con i soggetti intervistati (reperiti il più possibile da ambienti
socio-culturali differenti) è partito da una domanda contingente che nel corso delle interviste stesse e dell’opera di montaggio si è andata dissolvendo: quella sulle opportunità offerte dall’imminente adozione del regime di Schengen Bianco (che facilita l’ottenimento di visti turistici per i paesi dell’Unione Europea). Da qui, l’indagine si è allargata sulle risorse che la città è oggi in grado di offrire ai giovani e sul loro vissuto delle forme di divisione, che finiscono per essere comprese come forme di spartizione.
Emerge dalle parole di molti un quadro di netto scarto rispetto ai richiami di appartenenza di gruppo e di separazione. A volte, il rifiuto si esprime con i tratti simbolici del richiamo a un passato pre-bellico, nella consapevolezza che dittatura e libertà possono essere categorie ambigue.
Si lancia infine uno sguardo sulle esperienze di adesione ai gruppi
del tifo organizzato e alle percezioni dell’alterità che questa forma di
socialità permette di canalizzare.
Sembra che lo sguardo degli stranieri stenti a riconoscere nelle divisioni
quegli stessi fenomeni tipici delle complessità delle aggregazioni urbane di tante parti del pianeta. E Mostar, fedele alla propria storia, si dimostra centro urbano in tutta la profondità del significato, nonostante le dimensioni ridotte.
In questo percorso, è stato necessario allontanarsi dalla raffigurazione inevitabilmente patinata del centro storico-turistico di Mostar, dando a volte più risalto ai grattacieli delle case popolari che al Ponte Vecchio conosciuto in tutto il mondo e legato a significati semplificati di guerra, ricostruzione e aiuti dall’occidente.
Infine, è stato importante cogliere quali siano le percezioni dei giovani sulle condizioni affinché Mostar possa risollevarsi e tornare a vivere di vita propria.

Giuseppe Valente