Note di regia del documentario "La Vera Memoria"
La domanda che mi sono posto è la seguente: con il contributo della moderna tecnologia digitale si può effettivamente recuperare non solo il contenuto – e dunque la lettera – ma anche il “respiro” – e dunque lo spirito originario – di una vecchia pellicola deteriorata o addirittura degradata? Come si augura lo storico del cinema Roberto Nepoti?
Un altro pericolo minaccia il cinema di realtà, sommandosi alla perdita di tanti titoli del passato: il deterioramento e la progressiva scomparsa dei documentari esistenti, alcuni dei quali importantissimi e già gravemente danneggiati. Ogni fotogramma di documentario che va perduto porta via con sé un pezzetto irrecuperabile della nostra memoria.
O viceversa non è proprio accettando senza riserve quella stessa vecchia pellicola nella sua naturale fatiscenza che è possibile rivelare la sua qualità e la sua “verità” più intima, quella “smemoratezza” invocata e celebrata a più riprese (da buona iconoclasta) dalla scrittrice e regista francese Marguerite Duras?
La mia smemoratezza è valida quanto la mia memoria. Io lavoro con queste rovine, con questi buchi nella memoria. Si dimentica il 90% delle cose della vita, si diventerebbe pazzi se si ricordasse tutto il tempo vissuto. Se ci si ricordasse di tutto, dei dolori, delle passioni, delle gioie, l’istante sbiancherebbe, non esiterebbe più. L’oblio è la vera memoria.
In altre parole: se è vero che è importante conservare la memoria (di una persona come di una famiglia, di una città come di una nazione, di un libro come di un film), non è altrettanto vero che il carattere più affascinante e misterioso della memoria, così come del cinema, è per l’appunto la loro fisiologica fragilità, o meglio – parafrasando un altro grande francese, André Bazin – la loro ontologica ambiguità?
Stefano Grossi