NUGUO - Nel nome della Madre
“
La società matriarcale dei Moso esiste e funziona da millenni e la loro lingua non contempla le parole guerra e matrimonio. Una minoranza etnica di circa 40mila persone, ma non abbastanza numerosa per avere uno statuto autonomo”.
Così
Francesca Rosati Freeman, scrittrice ed antropologa, insieme a
Pio D’Emilia introducono il documentario "
NUGUO-Nel nome della Madre", girato a giugno-luglio 2012 in Cina, al confine con il Tibet. Corredato dalle immagini di panorami mozzafiato, il film raccoglie le testimonianze di una società che ha scelto di condividere l’atmosfera di pace e di naturale incontaminatezza offerta da quei luoghi suggestivi per ricercare una propria espressione di serenità esistenziale.
Le immagini si aprono sulla targa di benvenuto che campeggia all’ingresso del villaggio principale, che recita in cinese e in inglese: “Benvenuti nel Paese delle Donne”. Un’organizzazione egualitaria dove è la
dabu, cioè la donna più anziana, che guida la famiglia. “Non si tratta dell'equivalente femminile del patriarcato visto che l’uomo, nonostante abbia un ruolo secondario, non è oggetto di oppressione da parte delle donne”, dichiarano i registi.
Nella cultura Moso l’uomo non abita con la sua compagna ma nella casa della sua famiglia materna. Non vi è alcun riconoscimento giuridico della paternità, il padre può avere con i propri figli un ruolo affettivo, senza tuttavia poter esercitare diritti o aver obblighi materiali.
“L'aspetto che il documentario cerca di evidenziare è soprattutto l'assenza di violenza, un’organizzazione dove le donne sono riuscite a trasformare un evento naturale come la maternità in un modello culturale, sociale e spirituale”, dichiara Rosati Freeman.
“Il nostro concetto d’amore è molti diverso da come viene inteso da voi in Occidente”, precisa con orgoglio una donna Moso, “è più libero e sebbene si possano avere tanti uomini e tante donne, è solo con una persona che decidi di stare veramente. E se la relazione non va bene, se ne discute e ci si lascia serenamente, senza drammi e scenate”.
Insomma “ti amo ma non sono tua”, è il fondamento su cui sostanzialmente si basa una relazione amorosa nella piccola comunità. “I Moso disprezzano e condannano la gelosia, irridendo coloro che si mostrano gelosi e accusandolo di contravvenire alle regole”, spiega un uomo Moso. “E così la violenza coniugale non esiste, per noi l’educazione alla non violenza passa soprattutto attraverso il rispetto per l’altro, e la totale assenza del concetto di possesso e di appartenenza all’altro anche perché la coppia non vive sotto lo stesso tetto”.
Così nella società postmoderna o ipermoderna dove il crollo delle unioni legali viene visto come sinonimo di decadenza morale o civile, secondo la retorica pseudo-filosofica oggi diffusa che lamenta la crisi dei valori e dei legami, esiste davvero un piccolo villaggio alle pendici dell'Himalaya dove l'inesistenza del matrimonio e della famiglia nucleare permette ai suoi membri di vivere armoniosamente ed evitare qualsiasi forma di conflitto.
15/05/2014, 08:51
Monica Straniero