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Clint Eastwood torna sul grande schermo con "Jersey boys"


Clint Eastwood torna sul grande schermo con
Ottant’anni compiuti lo scorso maggio, italiane le origini della famiglia.
Per l’anagrafe è Francesco Stephen Castelluccio, ma il grande pubblico l’ha conosciuto come il leggendario Frankie Valli.

Fare il suo nome è rimettere in gran spolvero la stella dei “Four Season”, il quartetto rock statunitense nato a metà degli anni cinquanta che cercò di contrastare coi quasi cento milioni di dischi venduti il dominio mondiale dei Beatles e dei Rolling Stone.

Essendo i “Four Season” una band che cambiò spesso i suoi componenti, Tommy De Vito, Nick Massi e Bob Gaudio, anche loro di origini italiane, furono i principali compagni di viaggio di Valli che con il suo affascinante falsetto da tenore non c’era performance che non mandava in delirio le migliaia di fans del tempo. Ancora oggi, chi appartiene ad una generazione che ha superato gli anta, non ha dimenticato quei “maledetti ex-ragazzi di strada” che diventarono delle celebrità grazie, tra gli altri, ai successi di “Sherrry”, “Bye bye baby”, “Walk like a man”, “Daws”, Rag doll”.

La storia di Frankie Valli e dei “Four Season” è diventata ora un film grazie a “sua eminenza” Clint Eastwood il quale, da navigato timoniere del cinema contemporaneo, difficilmente va fuori binario quando si mette dietro la macchina da presa. Ispirato all’omonimo musical andato in scena quasi per un decennio a Broadway, realizzato con la stessa collaborazione di Frankie Valli che ha portato alla produzione ritagli di fatti realmente accaduti, “Jersey boys”, questo il titolo del lavoro, è stato presentato in anteprima nel nostro Paese al Cinema Metropolitan di Napoli.

Anche se non si vede all’opera il miglior Clint Eastwood-regista, il film regge la prova dello schermo e lo spettatore ne esce dalla visione soddisfatto e pieno di energia musicale. Ma il plot tira pure perché, in parallelo al racconto della strepitosa carriera della band dell’italian-american-rock, delle vicende personali e sentimentali dei singoli, Eastwood cerca di marcare la variabile sociale, il contesto ambientale e, soprattutto il rischio che corsero quei quattro ragazzi (cresciuti nei malsani quartieri italo-americano nella News York dell’immediato dopoguerra) di immolare la loro vita sull’altare del crimine.

Anche se per qualcuno di loro si apriranno, per un tempo breve, le porte del carcere, la musica, l’arte in “Jersey Boys” è il risvolto della medaglia, la rivincita, l’ancora che mette al riparo definitivamente dalla precarietà esistenze stanno quasi sempre sull’orlo di un precipizio, tra salvezza e dannazione.

18/06/2014, 18:36

Mimmo Mastrangelo