“Una storia nera” è il racconto di una donna, Carla, che si ribella. Che non soccombe alla violenza e al destino, ma ha il coraggio di scegliere, anche quando la scelta le costa un grandissimo dolore. Anzi, le costa la sua vita come l’ha sempre conosciuta. Vessata e picchiata per vent’anni da un marito possessivo e violento, Carla trova il modo di salvarsi la vita, in un contesto come quello in cui viviamo in cui la legge non aiuta le donne vittime di violenza ma, come dice Carla: lo Stato le lascia morire da sole. Carla è un personaggio complesso, contraddittorio e ricco di sfumature. È una madre che ama sinceramente i suoi figli. È una vittima in trappola. È una donna sensuale, ammaliante. In un momento storico in cui la violenza sulle donne è un’emergenza purtroppo sempre più attuale, “Una storia nera” racconta e si immerge in questa realtà senza diventare un film a tema. Racconta un rapporto d’amore malato in cui non esiste un netto confine tra giusto e sbagliato, bene e male, e una famiglia che si sgretola e lotta per ricostruirsi. Come succede che una donna intelligente e consapevole possa cadere nella trappola di un rapporto autodistruttivo? Cosa succede nelle vite dei figli di una madre che ha fatto una scelta definitiva? Carla è dunque il personaggio centrale, la figura attorno alla quale ruotano le storie, le emozioni e le trasformazioni degli altri personaggi: il marito, i tre figli, gli amanti di lui e di lei, la famiglia d’origine del marito che vuole strapparle i figli a tutti i costi e vederla marcire in carcere così come Grazia Alaimo, il Pubblico Ministero, che la affronta durante tutta la vicenda giudiziaria. Ma se Carla è il centro del racconto, “Una storia nera” è prima di tutto un film corale. Ed è questa una delle caratteristiche del libro - e poi del film - che, da regista, trovo particolarmente interessante: è uno stimolo e una sfida avere la possibilità di lavorare con un gruppo di attori su personaggi così sfaccettati e complessi, costantemente divisi tra luce e ombra, tra rovina e salvezza. Un’altra caratteristica che, per me, è centrale per quanto riguarda il mio lavoro su Una storia nera è la possibilità di spaziare e sperimentare sui generi cinematografici che il racconto offre. C’è un impianto noir, c’è un processo, c’è il racconto familiare di una madre e dei suoi figli che tentano di restare uniti nonostante tutto e, infine, c’è una grande storia d’amore: profondamente passionale, complessa e autodistruttiva. Tutte queste suggestioni influenzano l’impianto visivo: la macchina da presa deve essere al servizio dei personaggi, dei loro stati d’animo, delle loro emozioni. La fotografia, allo stesso modo, deve restituire il continuo chiaroscuro del racconto, l’ambiguità dei personaggi per restituire il senso di ciò che la stessa Carla domanda durante il processo: “Voi lo sapete perfettamente quello che pensate? Quello che volete? Voi potete dividere tutto con certezza, giusto e sbagliato, sì e no, questo e quello? Se voi potete io vi invidio con tutte le mie forze”.
Leonardo D’Agostini