FESTIVAL DI ROMA 9 - Walter Salles riceverà
il Marc’Aurelio alla Carriera
Il
Festival Internazionale del Film di Roma assegnerà il
Marc’Aurelio alla Carriera al grande cineasta brasiliano
Walter Salles, Orso d'Oro e Golden Globe per "
Central do Brasil", regista di uno dei film più amati degli ultimi anni, "
I diari della motocicletta", premiato a Cannes e Oscar® alla miglior canzone.
Walter Salles presenterà al Festival in prima mondiale il suo nuovo lavoro, "
Jia Zhangke, Un Gars de Fenyang": Salles considera Jia Zhangke “
il più importante filmmaker contemporaneo”. I due saranno sul palco dell’Auditorium Parco della Musica per un dialogo pubblico moderato da
Marie-Pierre Duhamel e
Marco Müller.
"
Jia Zhangke ci ricorda che il cinema è ancora il luogo che può aiutarci a comprendere meglio il mondo che ci circonda" – ha detto
Walter Salles – "
Per un numero crescente di cinefili, è diventato il cineasta più importante della sua generazione. Attraverso i suoi film, il cinema può essere ancora il territorio per eccellenza delle scoperte e delle rivelazioni. Per Jia Zhangke il cinema è un modo di registrare una memoria in mutazione, di conservare traccia di ciò che non sarà più. I suoi film ritraggono gente ordinaria, quelli che lui definisce “i non detentori del potere”. Nell’ultima scena di Sanxia haoren / Still Life, un uomo cammina su una corda tra due edifici in demolizione. L’uomo in equilibrio instabile, in continua relazione con qualcosa di più grande di lui, è forse il punto comune dei personaggi dei film di Jia Zhangke. È in momenti come questo che ci rendiamo conto che i suoi film sono fatti di una materia che trascende una specifica geografia fisica o umana. I suoi personaggi provengono dalla regione dello Shanxi, ma le problematiche esistenziali dei suoi film non hanno frontiere e riguardano tutti noi".
Il Direttore
Marco Müller ha così commentato l’attribuzione del
Premio alla Carriera 2014 a
Walter Salles: “
La personalità più completa e complessa del movimento del cinema glocale è senza dubbio quella del brasiliano Walter Salles. Per (ri)scoprire un’identità, esplorare le inquietudini profonde di un paese enorme e contraddittorio, ha sperimentato modi diversi di risensibilizzazione dello sguardo: così che, partendo dalle radici, potesse infine aprirsi verso l’esterno. Film dopo film, ha saputo inventare sempre rinnovate parabole allegoriche a geografia flessibile, costruite sul movimento, la circolazione – in Brasile (A grande arte, Central do Brasil, Abril despedaçado) e in tutto il continente sudamericano (Diarios de motocicleta); in Europa (Terra estrangeira) e negli USA (On the Road). Mostrare una porzione del pianeta è, nel cinema di Salles, innanzi tutto un atto morale. Proprio per questo, la sua idea di cinema transnazionale (mai globalizzato) è stata l’unica in grado di scavalcare nostalgia e feticismo, riuscendo a riunire il “padre” (il cinema novo) tanto con la “nazione perduta” che con il mondo.
A Salles non bastava definire un linguaggio nuovo e le modalità produttive che gli corrispondessero. Alle molteplici allusioni culturali e alla sperimentazione industriale di A grande arte (lussuosa opera prima), ha dunque fatto seguire Terra estrangeira e O primeiro dia, importanti piccoli film “resistenti” codiretti con la scenografa Daniela Thomas. Sono due opere percorse da spinte libertarie, non-riconciliate (e non riconciliabili con il neon-realismo allora corrente), che hanno saputo trascrivere le trasformazioni in corso nello spazio politico brasiliano – appartengono rispettivamente al periodo della retomada (la “ripresa” del cinema brasiliano negli anni post-Collor) e a quello immediatamente successivo; spezzando le convenzioni del neo-noir (filone cui dovrebbero appartenere), abbandonando ogni più consueto schema di conflitto e risoluzione, ci mostrano un mondo dove la violenza è sempre in agguato e solo la solidarietà di classe può garantire una fragile protezione.
Anche quando il punto di partenza è un materiale naturale di particolare evidenza (nei suoi film le locations diventano spesso personaggi a parte intera), Salles si lascia conquistare dal materiale umano che dirige (in Diarios, il passaggio dal maestoso paesaggio andino alla coppia india, e quello dal Rio delle Amazzoni al lebbrosario, conducono alla scoperta dell’altra faccia di un universo di storie). Forma e tecnica sono al servizio del racconto: il progetto formale, tuttavia, si piega a seguire tanto le strategie narrative che gli incontri, le occasioni sorte al momento delle riprese, così che l’emozione finisce sempre per prevalere sul discorso. Persino quando affronta favela e sertão, vale a dire i luoghi deputati per disvelare l’altra faccia della modernità positivista in Brasile, ne precisa subito il fondo materico e polveroso e si concentra nell’individuare le linee del dolore-amore che lo attraversano.
L’universo visivo del cinema di Salles risponde a impulsi divaricati. Da un lato, il tuffo nel realismo e nel cinema testimoniale - il regista lo chiama “revisione del neorealismo attraverso il cinema novo”: in realtà è una reinvenzione-ridefinizione continua, come dimostra Linha de passe (terzo film firmato insieme a Daniela Thomas). Dall’altro, la ricerca dell’astrazione, la sperimentazione attraverso immagini concettuali – sbarre steccati e confini in Abril despedaçado (omaggio a Limite, diretto nel 1930 da Mario Peixoto - “uno dei film più brasiliani e più straordinari” lo ha definito Salles, che ha molto contribuito a salvarlo e restaurarlo); oppure, da Terra estrangeira in poi, quelle della scoperta del mar, l’arrivo sulla riva dell’oceano come metafora della vittoria dell’individuo sulla società (vittoria effimera, ora che l’utopia rivoluzionaria di Glauber Rocha sembra impossibile).
Walter Salles si considera un documentarista che realizza lungometraggi di fiction. E che ha ribadito: “pensare il cinema è altrettanto importante che farlo”. Ogni nuovo film viene dunque vivificato dai risultati provvisori di una riflessione mai sopita. Non è difficile constatare, da un’opera all’altra, una progressione logica e poetica; e in parallelo ad essa, l’incessante frequentazione di una grande varietà di referenti testuali e linguaggi artistici (Salles è ben consapevole dei materiali che sceglie e della loro composizione, come dell’immaginario che deve affrontare e manipolare). Non stupirà dunque, in un cineasta che ha dimostrato di aver studiato la lezione dei nuovi realismi (si muove a suo agio tanto nell’universo di Rossellini che in quello di Wenders), l’attenzione sempre più accentuata rivolta al metodo e alla pratica di due contemporanei, Abbas Kiarostami e Jia Zhangke. È la filosofia che il regista brasiliano ha voluto precisare nel nuovissimo Jia Zhangke, un gars de Fenyang, il primo lungometraggio a segnare il suo potente ritorno al cinema documentario”.
12/10/2014, 09:58