Note di regia del film TV "Una Casa nel Cuore"
Q uando ho ricevuto la proposta di Mario Rossini e di Rai Fiction di dirigere Una casa nel cuore, ho accettato con particolare interesse per due ragioni.
La prima è stato lo script, tratto dal libro di Paola Musa Condominio occidentale, che mi è apparso subito una storia universale, semplice e profonda come sono certi articoli di cronaca che ti capitano per caso sotto gli occhi, smarriti in fondo alle pagine interne di un quotidiano.
La storia di una donna, innanzitutto. Anna.
Una donna, apparentemente fragile e rinchiusa in una vita un po’ soffocante, ma tranquilla, che una mattina si sveglia e scopre che tutte le sue certezze
sono svanite. Il marito un po’ stalker che l’ha pian piano costretta, col ricatto dell’amore, a un’esistenza di completa dipendenza da lui, è sparito, ha dei debiti con degli usurai, la sua attività è fallita, ma soprattutto è fuggito senza una spiegazione per Anna e sua figlia Aurora. Lasciandole letteralmente in mezzo a una strada.
Un disastro, ma è l’inizio di una vita nuova. Perché Anna reagisce. Combatte, non si arrende. Forse da sola non ce l’avrebbe fatta, ma ha Aurora, sua figlia di undici anni. Per lei non può lasciarsi andare.
È così che dal giorno in cui perdono tutto, pian piano Anna e Aurora, ritrovano la vita, il sapore della vita. Scoprono mondi che non avrebbero mai immaginato
di conoscere. Si avventurano per un’altra città, una Roma che rivela aspetti minacciosi e duri, ma anche sorprese di bellezza e umanità imprevedibili.
E alla fine Anna è una donna diversa, più forte, più libera. E l’amore che la lega a sua figlia è cambiato, è diventato un legame più profondo, per entrambe,
qualcosa per cui vale la pena vivere.
Questo porta al secondo motivo per cui il film mi ha appassionato subito: la possibilità di lavorare con Cristiana Capotondi. Un’attrice vitale, vivace,
spiritosa e assieme capace di profonda drammaticità. Dall’aspetto apparentemente fragile, ma che nasconde una determinazione impressionante, forza da vendere. Una Anna perfetta. Cristiana ha disegnato una giovane madre che impara sulla sua pelle cosa significa combattere, sporcarsi le mani, inventarsi una nuova esistenza, trovare un tetto, un lavoro e alla fine vincere. Non mi vergogno di confessare che a volte è difficile starle dietro, essere all’altezza della sua capacità d’attenzione e di concentrazione. Ha lavorato al personaggio fin dall’inizio, fin dal nostro primo incontro sullo script e poi per tutte le riprese del film, fino al doppiaggio, approfondendolo, limandolo, giocandoci, facendolo crescere, scoprendone e rivelandomene le pieghe più umane, a volte buffe, a volte malinconiche, sempre
sorprendenti.
Insieme a Cristiana e ad Aurora Giovinazzo, la attrice che ha prestato volto e anima (persino il suo nome di battesimo) al personaggio della figlia, ho potuto costruire un viaggio in una Roma nuova e segreta, una Roma che sta accanto a quella cui siamo abituati, la solita Roma del traffico, dei turisti, della vita di ogni giorno.
Una Roma bellissima che sta qualche metro sotto all’altra Roma.
La Roma del fiume. La Roma del Tevere e delle sue rive. Ma anche quella della campagna attorno al Parco degli acquedotti, dove ci si può addormentare per strada, nella disperazione, in macchina e svegliarsi scoprendo una imprevista bellezza, che ci cambia dentro.
Dal punto di vista della regia seguire il viaggio di Anna e Aurora nell’altra Roma mi ha permesso di filmare e mostrare quella parte di splendore che tutti i giorni abbiamo accanto, ma su cui raramente posiamo lo sguardo.
Splendore che non è solo meraviglia dei luoghi, ma anche delle persone e degli incontri imprevisti che si fanno. Anna e Aurora incontrano brutte e belle persone nella loro avventura. Ma saranno queste ultime a costituire una nuova famiglia per loro. Un piccolo gruppo di senza casa, che viene ospitato “provvisoriamente” come loro in una casa galleggiante sul fiume, in attesa di un alloggio popolare. Quell’intermezzo nelle loro vite, la casa sul fiume e i compagni che la abitano, diventerà un ricordo indelebile e caro.
È qui che incontrano nuovi amici che le aiuteranno a rifarsi una esistenza. Primo tra tutti una specie di angelo custode, interpretato da un fantastico Ninetto Davoli, un uomo misterioso, che ha deciso di non parlare, solo lui sa perché, ma che si affeziona ad Anna e Aurora e si prende cura di loro a suo modo, con poesia e leggerezza.
E alla fine decide di rompere il suo silenzio per loro, anche se solo per dire tre parole, ma così importanti che non poteva tacerle.
E poi c’è Augusto, interpretato dal grande Giorgio Colangeli, che è il capo del piccolo gruppo di “condomini” della casa sul fiume, preoccupato di difendere la loro normalità di esseri umani, di aiutarli a restare persone degne di questo nome.
E accanto a loro un gruppo di personaggi, segnati dall’avventura che è capitata, ma solidali e disposti a mettere insieme i loro talenti cui hanno prestato volto e anima Chiara Gensini, Nadia Kibout, Marco Conidi, Matteo Cremon, Fabio Brunetti, Denis Campitelli. E poi Simone Montedoro, che interpreta Francesco, l’uomo che forse riuscirà a convincere Anna a dare una nuova chance ai sentimenti e all’amore.
Infine Ludovico Vitrano, che ha saputo portare con pazienza i panni difficili del marito inadeguato, non all’altezza della donna che aveva a fianco, e Michela Andreozzi che interpreta con sensibilità e delicatezza il ruolo di un’amica di Anna che deve fare una scelta difficile.
Voglio ricordare per il grande contributo dato al film anche Beatrice Scarpato, che ha saputo disegnare con le sue scenografie l’altra Roma, la Roma del cuore, che cercavo. E poi Mary Montalto, che con i suoi costumi ha restituito ai personaggi della storia la dignità di persone che voleva per loro Augusto/Colangeli. E poi la fotografia di Marcello Montarsi, un occhio cristallino sui volti e i luoghi, la musica in fondo all’anima di Francesco Cerasi, e il montaggio impeccabile e attento alle ragioni dei personaggi di Simona Paggi.
Vorrei ringraziare infine la Red Film e Rai Fiction per avermi affidato questa bella storia e per avermi sostenuto nel raccontarla.
Andrea Porporati