Note di regia di "Hybris"
L’idea del film nasce nel maggio 2013 e prende ispirazione da “Evil dead” di Sam Raimi, precursore di quei film di genere horror che racchiudono gli stessi ingredienti che ancora oggi terrorizzano e affascinano milioni di spettatori: una casa, un fitto bosco, quattro ragazzi e la capacità di non prendere mai la giusta decisione: “…dividiamoci…”. L’idea nasce da due esigenze: da una parte, la necessità di girare un film di genere, prendendo in prestito ingredienti tipici del cinema horror d'oltreoceano ed unendoli a quelle che sono alcune delle peculiarità del cinema italiano, ovvero l’analisi del dramma e le relazioni tra i personaggi, il dialogo e non il sangue, perché è vero che la penna è più potente di una motosega. Dall’altra, la voglia di girare un film fruibile da tutti. L’idea parte da una semplice domanda: cosa succederebbe se un gruppo di amici che serbano odio e rancore da anni si trovassero improvvisamente imprigionati all’interno di una casa e fossero costretti a collaborare per la propria sopravvivenza, tutto inserito in un contesto horror? La risposta la da Tommaso Arnaldi. Marco, Fabio, Alessio e Penelope, quattro ragazzi legati da un oscuro passato, per rispettare le volontà dell’amico morto raggiungono una vecchia casa nel bosco, e la sparizione di porte e finestre non lascerà loro una via di fuga dall’affrontare i rancori che nutrono da anni. Ma le finestre non si sono smaterializzate: è solo una grande illusione dettata da un’ entità più grande di loro, un burattinaio che non ordina ma stimola e alimenta il loro rancore facendo si che siano i protagonisti i veri fautori delle proprie azioni e conseguenze.
Un progetto ambizioso, non semplice da portare dallo scritto allo schermo; una sceneggiatura che unisce da una parte l’elemento puramente “emozionale”, dall’altra l’elemento thriller/horror attraverso quei cliché che prendono forma all’interno del film per poi esser subito smontati (la bambola indemoniata). Divertente è stato trovare il giusto compromesso tra queste due parti. Il risultato è quello che a noi piace definire "supernatural-thriller". La vera grande sfida è stata la pre-produzione. C’è stato un approccio molto metodico in tutta la fase di pre-produzione e della preparazione del set: partendo dalla sceneggiatura scritta in base al budget a disposizione, alla scenografia realizzata secondo le esigenze di regia (creando anche un piccolo modellino virtuale della casa), al lavoro sugli storyboard, alla valutazione dei colori principali insieme ai reparti di fotografia, scenografia e costumi. Abbiamo dato omogeneità al lavoro tenendo sempre in comunicazione tutti i membri e i reparti del team. La scommessa è iniziata sul set: diciotto giorni per terminare ottantatre minuti, con una media di cinque o sei scene al giorno, ambizione diventata concreta solo grazie alle varie maestranze che hanno collaborato con noi. Il film è stato interamente girato in teatro di posa, come si faceva un tempo: proiettori dall’alto, il suono dell’allarme prima dell’azione che indica a tutti di far silenzio, l’ambiente che si adatta a noi; e se da una parte lavorare in un teatro di posa ha i suo vantaggi, dall’altra c’è il pericolo che si finisca esattamente come i protagonisti del film, ma fortunatamente la squadra era compatta, e in questi ultimi anni ho realizzato che il punto cardine per affrontare questo mestiere è la serenità, fare squadra, perché il cinema è fatto di persone. Altrettanto complesso è stato l’approccio con la macchina da presa: discutendone con il direttore della fotografia (Matteo Bruno) l’idea era quella di abbandonare la camera a mano, molto utilizzata negli ultimi anni, concentrandosi prevalentemente su movimenti fatti con carrello, il primo nemico della fretta. Ciò che ci ha permesso di osare è stata un indiscussa voglia di partecipazione da parte di ogni singolo membro della troupe e del cast. Hybris è un film nato dalla voglia di fare cinema, dalla voglia di proporre un qualcosa di nuovo che non siamo più abituati a vedere, un cinema fatto da giovani. Ho affrontato questo film tra i diciannove e i ventuno anni ed ero il più giovane sul set e voglio essere onesto (anche se il cinema non lo è mai con gli occhi dello spettatore): ho voluto osare, chiedendomi continuamente se stessi facendo un passo più lungo della gamba, o se per l’appunto stessi peccando di hybris, ma poi hai lì una squadra di persone pronte a seguirti ed è questa risposta alle tue domande.
Tommaso Arnaldi