LOCARNO 68 - Parlando di Sam Peckinpah
Sam Peckinpah, gran regista di western e non solo. Personaggio maledetto scomodo ed incombrante. Locarno gli dedica una retrospettiva esaustiva e ben strutturata. Al critico cinematografico Alberto Castellano studioso del regista statunitense abbiamo chiesto di parlarcene
Come conoscitore ed estimatore di Sam Peckinpah ci dica, chi era questo regista creatore del western?
Un po' come John Ford, il nome di Peckinpah viene immediatamente associato al western perché tutto il suo cinema è votato alla narrazione del mondo del West e anche i suoi film di altro genere come il poliziesco “Killer Elite”, il bellico “La croce di ferro”, gli action “Cane di paglia” e “Osterman Weekend” sono in fondo dei western travestiti, sono impregnati della sua profonda conoscenza del western e della sua sensibilità per un'epoca-chiave dell'America.
E' stato uno dei grandi innovatori del cinema americano e non solo degli anni '60 – '70 e l'aspetto interessante di questo maestro è che le sue rivoluzionarie soluzioni linguistiche e tecniche, i suoi geniali stravolgimenti dei convenzionali modelli narrativi hanno trovato l'applicazione ideale proprio in un genere che nonostante Bazin lo definisse “il cinema americano per eccellenza” e Ford lo esaltasse con la famosa affermazione: ”Mi chiamo John Ford e faccio western”, ha sempre incontrato le resistenze e gli snobismi di molta critica.
Invece il buon Sam trovò in esso il terreno più congeniale per raccontare i losers, per rappresentare senza mediazioni e ipocrisie quella violenza selvaggia che si annida nell'uomo e per applicare ai grandi spazi tutta la sua genialità tecnica, la sua visionaria composizione visiva. Già con i film d'esordio “La morte cavalca a Rio Bravo” e “Sfida nell'Alta Sierra” Peckinpah fece sentire una personalità d'autore forte e provocatoria che intendeva riprendere la lezione del grande western classico e al tempo stesso stravolgere e ridisegnare stereotipi e convenzioni arrivando gradualmente con i successivi capolavori come “Sierra Charriba” e soprattutto “Il mucchio selvaggio” e “Pat Garrett e Billy Kid” a trovare uno straordinario equilibrio tra crepuscolarismo, lirismo e violenza eccessiva ma realistica.
Molte sequenze dei suoi film sono entrate nella storia del cinema per l'impatto visivo senza precedenti per il quale si può scomodare Ejzenstejn: ritmo mozzafiato, montaggio serrato, asincronismo parallelo e simultaneo, i proverbiali ralenti che spezzano l'unità della sequenza. Anarchico, ribelle, gran bevitore, sempre in guerra con i produttori, Peckinpah è uno dei grandi autori indipendenti americani che senza scendere a compromessi ha raccontato un'America violenta e individualista. Spesso incompreso per il suo estremismo e vittima di semplificazioni ideologiche come quando per “Cane di paglia” (1971) si attirò l'etichetta di “fascista” che lui con ironia rispedì ai mittenti dicendo di rivolgersi al contemporaneo ”Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo” del suo amico Don Siegel.
Locarno è un Festival conosciuto tra l’altro, anche per le sue importanti retrospettive. Secondo lei cosa rappresenta oggi una retrospettiva dedicata ad un maestro di un genere un po’ in disuso ?
Dei grandi Festival di cinema mondiali, quello di Locarno da sempre dedica uno spazio importante alle retrospettive monografiche e come è accaduto per altri autori ha anticipato tutti. Non si può certo dire che Peckinpah sia un regista dimenticato o sottovalutato, è stato già consacrato tanti anni fa ed è uno degli autori ancora oggi più citati e imitati da tanto cinema d'azione non solo americano. Ma vale la pena ricordare il posto che occupa nella storia del cinema e approfondire la sua lezione, soprattutto per i tanti cinefili e appassionati più giovani di tutto il mondo che lo conoscono poco.
Recentemente quali altre retrospettive sono state dedicata al regista di Il mucchio selvaggio?
Non mi risultano retrospettive recenti, ma a parte gli omaggi sparsi fatti periodicamente in vari paesi, forse una retrospettiva così completa come quella locarnese compresi i lavori televisivi non era mai stata allestita. Va dato merito quindi al direttore Chatrian che ha arricchito questa edizione del Festival di un omaggio come questo.
Per un'iniziazione a Peckinpah, quali film consiglierebbe da vedere ?
Tutti, anche perché sono appena 14 e poi sono quasi tutti disponibili in dvd. Uno dei suoi più sottovalutati è “Voglio la testa di Garcia”, capolavoro che mescola la ballata popolare e le citazioni colte, l'avventura e le implicazioni metalinguistiche. Ogni film di Peckinpah va visto, rivisto, analizzato, studiato, è una lezione di cinema e le cattedre di Storia del Cinema delle Università italiane farebbero bene a dare più spazio a Peckinpah come ad altri autori fondamentali piuttosto che impostare ancora corsi paludati, noiosi e inutili.
E’ vero che Peckinpah, morto a 59 anni, avesse un pessimo carattere ?
Non era sicuramente una persona tranquilla e gentile, era notoriamente irascibile e rissoso. Come altri grandi artisti “maledetti” ha vissuto una vita all'insegna della trasgressione, dell'eccesso, dell'irregolarità, di un'interazione continua tra attività creativa e sfera esistenziale.
Quali sono le caratteristiche della retrospettiva locarnese ?
Com'è tradizione del Festival la completezza, il rigore filologico, la qualità delle copie dei film, un ricco e documentato catalogo.
Che posto occupa Peckinpah nella storia del cinema ?
Occupa il posto riservato ai grandi. Certo a differenza di Bergman, Welles, Ford, Hitchcock e altri che hanno aspettato poco per entrare nel Pantheon, lui ha dovuto attendere qualche rivalutazione postuma, qualche rilettura più attenta dell'intera sua opera e l'abbandono di pregiudizi verso il western e di paranoie ideologiche. Inoltre oggi il suo cinema si rivela di una modernità straordinaria, di una forza espressiva rara, di immagini uniche impregnate di ipnotica, visionaria violenza, un cinema che porta i segni indelebili di un autore geniale, coraggioso e fuori dagli schemi.
11/08/2015, 19:39
Augusto Orsi