Note di regia di "La Gente Resta"
Ricordo la prima trasferta a Taranto, di notte dal buio emergevano le gigantesche luci dell’ILVA che ricopre una superficie superiore a quella della stessa città in cui è innestata, come un tumore. Ma più di questo mastodontico animale d’acciaio, vivo, era presentissimo il suo respiro: un odore acido, agrodolce che si appiccicava alla mia gola vergine. Per anni una polvere ha consumato e reso a sua volta polvere persone, case, terre, ulivi, frutti. Ma sotto tutta questa usura brillava qualcosa negli occhi dei Resta. Una forma di resistenza antropologica che affonda le radici in un passato per nulla recente, quasi atavico. A loro la storia ha lasciato il compito di ricominciare con l’unica cosa che ti rimane dopo sessant’anni di distruzione, come in una post esplosione nucleare: il senso della comunità, una comunità quasi tribale, inossidata, sana, nonostante il cieco individualismo contemporaneo. Conservata dalla solitudine dell’essere rimasti in pochi mentre tutti vanno via. La solitudine di chi resta.
Maria Tilli