TFF33 - Intervista a Lucio Viglierchio, regista di "Luce mia"
Dopo anni di lavoro,
Lucio Viglierchio ha accompagnato al
Torino Film Festival l'anteprima del suo documentario "
Luce mia", viaggio terapeutico attraverso la sua malattia e quella di una sua compagna "di sventura", Sabrina, anch'essa colpita dalla leucemia. Lo abbiamo intervistato, insieme al produttore
Massimo Arvat.
"Quando ho iniziato il progetto - ha raccontato Viglierchio - pensavo solo a sopravvivere. Poi, passati paura e trauma, è tornata la voglia di raccontare. Volevo concentrami sull'aspetto medico, e per questo ho girato la mia biopsia, che è la prima cosa che ho ripreso. A quel punto abbiamo capito, insieme al produttore, che poteva funzionare. Poi è arrivata Sabrina, e tutto è cambiato un'altra volta".
Raccontare la malattia non è mai semplice. "È stato difficile, vero", ammette Arvat. "Produrre un'opera prima, su un tema arduo: abbiamo preso un rischio, ma Lucio è parte della nostra casa di produzione, e quindi è stato più semplice.
Era chiaro a tutti da subito quanto il progetto fosse terapeutico per lui. Siamo tutti molto soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato".
"La prima del film - racconta il regista - è stato un momento importante, la volontà di Sabrina era finirlo, in qualsiasi caso, anche senza di lei. La malattia destabilizza, e il film è stato l'equilibrio che abbiamo trovato tra noi. Ho tantissimo materiale girato, e i primi tentativi di montaggio sono stati davvero difficili, poi ho chiesto aiuto esterno, ed è stato più semplice".
E sul rischio-morbosità, inevitabile in casi come questo? "
Credo di averlo superato perché si trattava del mio corpo, mi legittimava. Si vede Sabrina consumarsi, ma è tutto vero, lo abbiamo sentito insieme. Alcune cose non sapevo se tenerle nel montaggio finale, ma poi ci stavano, e solo perché a dirle era lei, ed era importante che fossero dette".
LA RECENSIONE DI LUCE MIA24/11/2015, 09:30
Carlo Griseri