FdP 56 - Intervista al regista Michele Cinque
Il Jazz è forse il genere che più rappresenta l'immagine e la cultura degli Stati Uniti d'America, ma forse non tutti sanno che tutto cominciò da un figlio di siciliani, il cornettista Nick La Rocca. Il regista
Michele Cinque autore del documentario "Sicily Jass", ci ha raccontato la genesi del film e tante altre curiosità legate a questa incredibile storia.
Partiamo dalla scelta del titolo, "Sicily Jass", in bilico tra la Sicilia e la lontana America...
Beh, "Sicily" perchè sono siciliano di discendenza e da piccolo andavo sempre a Caltanissetta dove mia nonna aveva una tenuta. La Sicilia ha lavorato in maniera sotterranea da sempre. Ad esempio il mio primo incontro con Cuticchio è avvenuto quando avevo sei anni e quindi è come se fosse per me uno zio. Andare a recuperare questa storia personale era importante. "Jass" perchè la musica Jazz, negli anni '10 veniva scritto in questo modo, con due s. Poi c'è stata una mutazione, con una "s" e una "z", fino ad arrivare alla declinazione attuale e quindi Jazz. La parola sembra essere apparsa per la prima volta in un giornale californiano di San Francisco, legato ad una partita di baseball. In particolare si riferiva al movimento, a quanto la palla fosse stata "gessata", un movimento imprevedibile e questo rispecchierebbe il concetto di improvvisazione.
Per questo lungo viaggio "on the road" ti sei affidato a due speciali guide, il puparo Mimmo Cuticchio e il musicista Roy Paci. In che fase del tuo progetto hanno fatto capolino?
La presenza di Mimmo è stata una cosa in divenire, perchè quando nel 2013 abbiamo iniziato a girare, avevamo registrato uno dei suoi "cunti" più tradizionali, quelli che fino a cinquanta anni fa venivano fatti nelle piazze di Palermo, una narrazione pre-televisiva, popolare. Rivedendo il materiale mi sono reso conto che erano troppo reali le persone a cui lui parlava, e anche se non è stato facile convincerlo, ho voluto rigirare tutto con i suoi pupi in un dialogo surreale. Mi serviva un interlocutore che potesse dire alcune cose che il narratore non poteva, come il fatto che Nick La Rocca avesse inventato il jazz, che se lo dici negli Stati Uniti la prendono come una bestemmia. Poi ho sempre pensato che questo mondo antico della Sicilia dovesse essere rappresentato anche dalla musica, da una colonna sonora ad hoc per il film. Tra i vari trombettisti italiani non riuscivo a trovare una figura che rappresentasse anche certi fantasmi dei nostri avi che si sono spostati verso l'America e un giorno ho rivisto delle foto e dei video di Roy Paci. E li ci ho visto l'immagine perfetta del "picciotto" e quando siamo andati sulle rovine di Poggioreale antica ho deciso che quello sarebbe stato il set e che la colonna sonora l'avremmo girata in esterni con l'aggiunta dei suoni della natura.
Nonostante un milione di dischi venduti e l'essere stato un pioniere con la cornetta, influenzando futuri miti del jazz, La Rocca sembra essere stato eliminato dalla storia. Come pensi sia possibile?
Nick La Rocca è un personaggio scomodo e antipatico. Accostarsi a lui non è stato affatto facile e anche nelle sue interviste si evince quanto fosse fissato con la sua immagine. Utilizzava album giganteschi in cui attaccava gli articoli che lo riguardavano, le cui immagini abbiamo animato a passo uno. Per la storia sono chiaramente partito da questo fenomeno iper-realistico, un disco capace di vendere un milione di copie e il fatto che l'inizio del jazz si conta dal 1917 e da questo disco. Avevo già studiato la storia di questo genere avendo diretto anche un documentario su Louis Armstrong, e parlando con grandi critici musicali americani, ho capito quanto Nick fosse odiato. Sul finire della sua carriera rilasciò una serie di interviste in cui accusava i neri di avergli rubato tutto, apparendo come razzista e xenofobo. Andando più a fondo sul personaggio ho scoperto invece un'umanità semplice, un siciliano che non aveva studiato e non aveva i mezzi culturali per parlare con i critici musicali in un periodo storico di quel genere. Ha tentato di ritagliarsi un posto nella storia, ma ha sbagliato tutto, soprattutto nella comunicazione. Il confine su cui abbiamo lavorato è stato quello di mantenere vivo l'interesse verso il personaggio e non "ucciderlo", perchè era già il primo nemico di se stesso, e di restituire questa umanità anche infantile, di chi si sente tagliato fuori da qualcosa che percepisce come sua. A parlare era l'uomo, il migrante. E questo film ha un legame molto forte con la migrazione, perchè il jazz è la musica che la rappresenta maggiormente e nel modo migliore, perchè nasce da un melting pot culturale e razziale.
Hai lavorato molti anni sugli archivi e ti sei imbattutto in una serie di storie incredibili. Sei risucito ad inserire tutto ciò che di interessante hai trovato o qualcosa è rimasta fuori?
Questa storia nasce da una ricerca condotta presso il Washington Archives e al ritrovamento di un film del 1937 in cui appariva Nick La Rocca. Di storie ne sono rimaste fuori tantissime, soprattutto sulla New Orleans di inizio secolo, dove ad esempio nel 1891 undici siciliani vennero linciati in un carcere da una folla inferocita perchè accusati di aver ucciso il capo della polizia. Questo fece quasi scoppiare una guerra tra gli Stati Uniti e l'Italia che in quel momento aveva una flotta navale dieci volte più grande. Da quel momento l'Italia ritira i suoi ambasciatori e in America iniziano ad armarsi. O ancora una storia attorno alle banane che ad inizio '900 diventano un businnes commerciale pazzesco, facili da mangiare senza sporcarsi. Chiaramente chi controlla il commercio delle banane in quel momento sono due famiglie di italiani, i Matranga e i Provenzano, e pare che in parte queste famiglie siano poi confluite su organizzazioni mafiose. Ma ce ne sarebbero ancora tante tante altre.
29/11/2015, 09:57
Antonio Capellupo