"Tre passi nel delirio" di Fellini torna in dvd grazie a Teodora


Negli anni sessanta, l'incontrastato maestro del brivido Roger Corman filmò otto pellicole ispirate alle narrazioni di Edgar Allan Poe. Quei lavori di Corman, prodotti dall'American International Pictures e sceneggiati insieme allo scrittore Richard Metheson, ancora oggi appaiono eccellenti, anzi qualcuno di essi è da considerare un vero e proprio capolavoro del genere. Ma nel 1968, grazie ad una delle tante coproduzione italo-francese del tempo, apparve sugli schermi europei un film ad episodi (ispirato a tre racconti di Poe) diventato poi un oggetto di culto. E' "Tre passi nel delirio" firmato da Roger Vadim, Louis Malle e Federico Fellini, nel formato dvd da pochi giorni si ritrova catalogato col numero cento della collana "Il piacere del cinema" curata dal critico Vieri Razzini per la Teodora Film.

Nel primo episodio, "Metzengerstein", diretto da Vadim, Jane Fonda è una cortigiana un'incantevole, ma al contempo capricciosa e presuntuosa. La giovane donna una volta vistasi respinta (in amore) da un cugino (un imperturbabile Peter Fonda), decide spietatamente di farlo morire. Anche in "William Wilson" del francese Malle troviamo al centro un altro personaggio cinico e tormentato nell'animo: un ufficiale dell'esercizio austriaco ( un Alain Delon al top della sua forma) deve fare i conti con un ingombrante sosia che porta persino il suo stesso nome e che gli appare davanti ogni qualvolta sta per compiere una cattiva azione . Delon ammazzerà quell'ombra (Daniele Vargas), ma la sua cattiva coscienza non troverà pace. Il terzo episodio, "Toby Dammit", è una pellicola dimenticata nella filmografia felliniana.

E, dunque, bene ha fatto Vieri a farlo Vieri Razzini a recuperarla e a far riaccendere intorno ad essa un certa curiosità della stampa. Racconta l'arrivo a Roma di una star inglese (Terence Stramp) che dovrebbe girare un western, anzi per l'esattezza "il primo western cattolico che celebra il ritorno di Cristo in una terra disperata". Il lavoro di Fellini è qualitativamente il più riuscito rispetto alle prove di Vadim e Malle, nel racconto tutto sembra apparire come un delirio, pure l'effetto psichedelico della fotografia di Giuseppe Rotunno (sull'occhio della macchina da presa appoggiò dei filtri colorati) fa sbandare lo spettatore al punto da non lasciargli intravedere tracce del Fellini più noto. Ma è solo una sensazione che lascia il tempo che trova, "Toby Dammit" in realtà è un film estremamente felliniano e parodistico.

"Con questo lavoro -disse Fellini in un colloquio con Gianni Volpi e Goffredo Fofi - ho cercato di sbeffeggiarmi, di buttarmi a mare, di distruggermi. Di esasperare lo stile di Fellini fino alla parodia: in modo da non poter più tornare indietro". Nel film (di solo trentasette minuti )tutti gli ambienti romani attraversati dall'eccentrico personaggio di Terence Stamp assumono un'atmosfera cupa che non fa altro che annunciare un epilogo tragico (stucchevole l'ultima sequenza con una bambina che raccoglie come se fosse un pallone la testa decapitata del protagonista). Per lo spettatore tuffarsi nella visione di "Toby Dammit" è come entrare in un incubo, in uno stato di irrealtà dove, però, non tutto appare inverosimile.

20/12/2015, 01:09

Mimmo Mastrangelo