Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Il testo della lettera dei 100autori al Direttore
Generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto


Il testo della lettera dei 100autori al Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto
La lettera aperta dei 100autori indirizzata al Direttore Generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto, pubblicata oggi su La Repubblica

Gentile Dott. Campo Dall’Orto,

nei sette mesi trascorsi dalla sua nomina abbiamo seguito con grande interesse il Suo percorso di ridefinizione dell’azienda pubblica che è stato chiamato a gestire nell’interesse collettivo.

Abbiamo apprezzato il suo stile parco, riservato e prudente. Abbiamo condiviso le intenzioni che ha espresso nelle rare interviste e dichiarazioni pubbliche e compreso la necessità di attendere che la nuova legge le conferisse prerogative appropriate a mettere in atto quelle intenzioni.

Infine abbiamo perfettamente compreso la priorità di inaugurare il Suo corso attraverso le nomine dei direttori di rete (e analoghi ruoli apicali).

Ora però ci paiono maturi i tempi per dare seguito e concretezza alle sue intenzioni anche per quanto riguarda la narrazione audiovisiva - documentaria e di finzione, live action e animata, pensata per la distribuzione sui canali televisivi o progettata per l’ambiente digitale. Un comparto che impegna una percentuale rilevantissima del fatturato della Rai e quindi del denaro pubblico che permette alla Rai di esistere.

La Rai ha una straordinaria tradizione e in molti ambiti è tuttora capace di assoluta eccellenza. Tuttavia da molti anni, come Lei ha più volte rilevato, sembra aver rinunciato a parte della sua missione. Da tempo infatti, Rai ha smesso – salvo rarissime eccezioni – di proporsi come motore di innovazione; ha rinunciato a parlare con larghissima parte del suo pubblico potenziale; ha rinunciato all’ambizione di affermarsi come produttore di contenuti globali di qualche rilievo e ha rinunciato a sperimentare sia sul piano dei linguaggi che su quello dei processi, di scouting, di sviluppo e di produzione.

I contenuti Rai hanno in larga parte perso qualunque rilevanza, quasi mai riescono a segnalarsi in termini di identità estetica o linguistica.

Dei prodotti Rai non c’è quasi mai molto da dire: per questo restano sostanzialmente invisibili al pubblico e alla critica internazionali, incapaci di competere con i contenuti di paesi e sistemi talvolta anche più piccoli e di minore tradizione, ma consapevoli delle ragioni profonde di una missione editoriale.

Tutto questo in un momento nel quale il mercato internazionale chiede con forza contenuti europei concepiti e sviluppati per competere col grande prodotto globale, americano in particolare.

Ridefinire la missione industriale ed editoriale della Rai è necessario dunque non solo per cogliere la straordinaria opportunità di questo momento storico ma anche per restituire un significato all’esistenza del servizio pubblico e al suo ruolo di motore delle dinamiche industriali, culturali e di mercato oltre che naturalmente editoriali ed estetiche.

Ma perché tutto questo sia possibile è necessario un ripensamento radicale dei processi decisionali, dei modelli di sviluppo e produttivi, oltre che delle strategie di scouting di nuove idee e nuovi talenti.

Tutto questo non perché lo diciamo noi autori, ma perché non si vede come si possano raggiungere gli obbiettivi che Lei ha dichiarato con una cultura del prodotto e un modello operativo e decisionale come quello che la Rai insiste a conservare.

Confidiamo dunque di vedere finalmente all’opera le strategie necessarie per trasformare in prassi le sue dichiarazioni di intenti.

Affinché la “nuova stagione” non si risolva ancora una volta in una banale questione di nomi e di nomine, facendo annegare noi e il pubblico nel solito mare di chiacchiere e noia.

28/02/2016, 17:05