BAFF XIV - Aldo Lado, un regista che ispirò Tarantino
Aldo Lado, regista di culto attivo soprattutto negli anni Settanta. Da qualche anno si è trasferito ad Angera, sulle rive del lago Maggiore ed è protagonista di un incontro al BAFF, affiancato da
Marco Giusti di Stracult, nel doppio ruolo di cineasta e scrittore, attività che ha intrapreso di recente.
Viene presentata in anteprima l'antologia "Nuovi Delitti di Lago" che contiene il suo racconto "Il Gigante e la bambina". Alla Bruschera, la splendida oasi protetta che circonda Angera, viene uccisa una bambina. Gli abitanti braccano il Gigante, un omone con la mente da bambino che vive nel bosco ed è in possesso di una bambola. Infieriscono su di lui con spietata violenza, ma è proprio lui il colpevole?
Oltre al racconto ha scritto la sua autobiografia e un romanzo giallo ambientato tra Milano e Angera. Il suo ultimo film "Notturno di Chopin" è del 2012.
“Ho voluto fare a tutti i costi il film Notturno di Chopin, lo stesso argomento di Chi l'ha vista morire con un diverso punto di vista. Non ho trovato un distributore per le sale, mentre l'ho trovato per il DVD. Avevo finanziato io il film, non ha incassato quasi niente. Chiunque io incontri ha visto il film in streaming e si complimenta. La gente riesce a vedere i film senza pagare, oggi a fare cinema ci si rimette”.
Come funzionava la produzione negli anni Settanta?
Il mio primo produttore, de "La corta notte delle bambole di vetro" si chiamava Enzo Doria non aveva una lira ma nel giro di due anni aveva prodotto "I pugni in tasca" di Marco Bellocchio, "Grazie zia" di Salvatore Samperi e aveva lanciato nuovi registi. Non aveva pagato né me né Jean Sorel. In una copia restaurata uscita da poco in Germania Sonrel lo dice in un'intervista, è ancora arrabbiato dopo quarant'anni. Solo i grandi produttori pagavano lautamente le sceneggiature anche se i film non venivano realizzati".
Nemmeno i diritti d'autore?
"Allora non c'erano. Per alcuni film non ho guadagnato niente, nemmeno ora, le proiezioni nelle retrospettive sono sempre a titolo gratuito. Invece Goffredo Lombardo mi pagava, e anche bene. Per un copione mi aveva dato venticinque milioni, nel 1974 avevo comperato una villa con giardino a Roma per trentasei milioni. Allora i produttori tenevano questi copioni come patrimonio delle loro case di produzione. Successivamente sono passato alla RAI dove ho diretto sceneggiati televisivi".
C'è stato qualche film che le ha dato soddisfazioni economiche?
"Non ho mai guadagnato molto con il cinema, agli inizi mi sottomettevo, amando il cinema mi bastava farlo e avere abbastanza da campare. Solo "La cosa buffa" con Gianni Morandi, prodotto da Giuseppe Berto ancora oggi mi frutta qualcosa di diritti d'autore. È stato acquisito da Mediaset che ogni tanto lo fa ancora passare in TV. Avevo guadagnato molto bene anche con "La cugina". All'epoca mi avrebbero pagato molto bene se avessi rifatto un film simile, ma non mi interessava ripetermi e ho preferito girare "L'ultimo treno della notte" per due lire. Dietro la storia di due ragazze violentate, parlavo della ricca borghesia che ha un sacco di scheletri nell'armadio e che si serve di due emarginati per fare quello che non aveva il coraggio di fare. Usavo il cinema per parlare di politica, "La corta notte delle bambole di vetri" racconta che chi ha il potere ha bisogno del sangue dei giovani per mantenerlo".
Un tema attualissimo, ancora oggi c'è bisogno del sacrificio dei giovani per difendere gli interessi economici all'estero.
"Negli anni Settanta se si voleva fare un film politico si doveva trovare un tema gradito ai produttori, allora andava il genere giallo. Nella trama si cercava di mettere il proprio pensiero politico. Con "L'ultimo treno della notte" ci ero riuscito bene perché il produttore non conosceva il contenuto del film, era troppo impegnato negli aspetti economici e a rincorrere le cambiali che scadevano. Lo ha scoperto quando il film era stato bocciato dalla censura che aveva ordinato di distruggerlo. Avevo dovuto sottoporlo ad atri "censori" invitandoli a guardare il film, con un titolo diverso, alla moviola e alla fine avevo strappato un vietato ai minori di 18 anni. A quell'epoca per ogni film arrivavano almeno venti o trenta denunce. I processi venivano tenuti tutti nel luogo della prima proiezione in pubblico. I produttori avevano individuato delle località in Trentino con magistrati di vedute aperte, quindi ce la siamo sempre cavata perché i film uscivano sempre lì. Fare cinema per me è sempre stato un divertimento che compensa di tutta la fatica della preparazione. I miei film sono sempre stati parti felici, ma una volta completati non li ho mai più riguardati.
16/03/2016, 16:28
Ambretta Sampietro