SENZA LASCIARE TRACCIA - Cappai, Tafuri ed il film
Com'è nata l'idea del film?
Gianclaudio Cappai: L’idea si è coagulata intorno a diversi spunti che coltivavo da tempo ma la chiave tematica ci è stata data dalla vicenda di una comune amica ammalata di cancro che ci ha confessato come sentisse la sua malattia legata ad un trauma del passato. Non ci ha voluto dire quale e questo ci ha spinto a colmare con l’immaginazione quel non detto.
Secondo voi quanto una malattia può essere legata a un evento traumatico del passato?
Gianclaudio Cappai: Approfondendo l’argomento, abbiamo scoperto che esistono degli studi scientifici secondo i quali certi tipi di tumori per esempio sono legati ad eventi traumatici oppure ad una non comunicazione. In ogni caso quello che a noi interessava raccontare non è una verità scientifica ma la percezione che si può avere della malattia e soprattutto di certi tipi di malattie.
Lea Tafuri: Questo tema mi ha riportato ad un libro che mi aveva molto colpito quando lo lessi diversi anni fa: Malattia come metafora di Susan Sontag. In questo splendido saggio si parla proprio del valore simbolico della malattia e dell’esigenza di chi ne soffre di trovare un significato al proprio stato, una causa che non sia puramente materiale ma che riguardi il proprio vissuto e la propria esperienza.
Qual è il parallelo tra la storia di Bruno e quella di Elena?
Gianclaudio Cappai: C’è un legame sottile eppure essenziale tra le due linee. All’origine c’è un unico male originario che si propaga e si estende alla vita di tutti i personaggi del film, che contagia e infetta tutte le dimensioni della loro esistenza. La sofferenza di Bruno, tacitata alla moglie, la sua rabbia repressa, il suo essere per alcuni versi ancora inespresso hanno originato il senso di protezione di Elena, il suo silenzio, il suo senso di impotenza rispetto al dramma del marito. Anche lei, pur essendo il lato positivo della vita di Bruno, non è immune alla stessa rabbia e al bisogno di trovare una valvola di sfogo.
LeaTafuri: Ci è stato fatto notare che le due linee rimangono troppo parallele, senza convergere mai se non alla fine. Questo può essere un difetto in una struttura drammaturgica ed è quello che pensavo all’inizio. Ma poi, seguendo l’intuizione di Gianclaudio, ho capito che questa strada ci avrebbe portato a raccontare qualcosa di meno convenzionale ma anche di profondamente autentico: capita anche a due persone che vivono insieme di non sapere tutto dell’altro e di vivere ognuno una propria sfida senza che l’altro possa interferire o intervenire. E questo non è necessariamente un male, ma anche una forma di rispetto, di amore.
Come avete sviluppato i personaggi di Vera e Giulio?
Lea Tafuri: Giulio e Vera erano senza dubbio i personaggi più “ostici”. Siamo partiti innanzitutto dalla loro storia, non per niente sono due personaggi che sono rimasti ancorati al passato. La cosa che ci intrigava era raccontare come potesse crescere una ragazza che da bambina si è macchiata di una colpa grave, innominabile, seppure con parziale consapevolezza. Di rimando, anche per Giulio siamo partiti dalla domanda di come potesse reagire un padre di fronte alla “mostruosità” della figlia.
Gianclaudio Cappai: Fattore importante della loro caratterizzazione è stato anche il contesto, l’isolamento rurale, una chiusura nello spazio e nel tempo che ha portato ad un’esasperazione del loro rapporto e dell’atteggiamento verso il mondo.
Come hai scelto gli interpreti?
Gianclaudio Cappai: L’unico che avevo da sempre in mente è stato Vitaliano Trevisan. Agli altri sono arrivato gradualmente, grazie anche alla collaborazione con la casting director Stefania De Santis. La scelta più difficile era certo quella del protagonista e con il senno di poi Michele Riondino si è mostrato la migliore scelta possibile. Ha infatti una sorta di rassicurante candore che contrasta con i suoi fantasmi interiori.
Com'è stato il lavoro di sceneggiatura e di produzione?
Lea Tafuri: Abbiamo scritto e condiviso ogni passo del processo di scrittura, dall’idea originaria all’ultima revisione. Per quanto mi riguarda, ho cercato di entrare nel mondo di Gianclaudio e di seguire la sua ispirazione anche quando si trattava di lasciare indietro certezze acquisite e convinzioni consolidate. Dopo la scrittura del soggetto, abbiamo fatto dei sopralluoghi e questo, in particolare l’impatto con la fornace, ci ha aiutato a dare corpo e concretezza alla storia.
Gianclaudio Cappai: Il film è stato preparato tra il 2013 e il 2014. È stato girato in sei settimane tra provincia di Lodi, Piacenza, Roma e provincia.
20/04/2016, 09:12
Stefano Amadio