TGLFF31 - Narrazione del mondo islamico al TGLFF (parte 2)


TGLFF31 - Narrazione del mondo islamico al TGLFF (parte 2)
Oriented
Dopo lo sguardo sui musulmani fuori patria, attraversando i mari e le società, il pubblico del TGLFF 2016 ha potuto assistere anche ad alcune (poche in proporzione) narrazioni ‘interne’ della problematica omosessuale legata al mondo islamico, grazie a tre cortometraggi e a un lungometraggio israeliano che parla di palestinesi.

Più crudo per l’argomento ma anche più curato nella forma, il tedesco Der Verurteilte di Michael Rittmannsberger vive dell’ombra e della luce verde di una cella; il carcere è in Iran e il condannato a morte - perché omosessuale - attende la sua ora. Le frasi (i suoi pensieri) sono più proclami, ma i dati delle didascalie e l’inevitabile fine incidono più delle parole. In otto paesi nel mondo gli omosessuali sono puniti con la pena capitale, ed è ‘il’ dato di fatto – questo – dal quale bisogna partire prima di poter sognare che la situazione si evolva.
Altrettanto (ma diversamente) estetizzante, con le sue inquadrature centrate, un ritmo e una forma quasi teatrali e un bianco e nero che favorisce la distanza emotiva trasformando il film in una trattazione, l'iracheno Al mujtamaa di Osama Rasheed mostra scene intime e quotidiane di una coppia di uomini alternate a lunghe esternazioni. I luoghi del vivere sono la casa, in cui si è se stessi, e il ‘fuori’, dove ci si uniforma, mostrandosi - in questo caso - in compagnia femminile. I luoghi delle esternazioni sono invece i tetti, la solitudine e la lontananza: un uomo, in cima a un palazzo, parla all’obbiettivo lontano (il mondo sottostante non ascolta), parla della società araba che è maschile e immutabile, in mano a dei barbari (i religiosi) che impediscono il cambiamento, parla e si sfoga ma senza far trapelare alcun barlume di speranza.

Fin qui il mondo adulto, consapevole della realtà, con esperienza alle spalle che schiaccia. Al contrario, il cortometraggio tunisino Face à la mer di Sabry Bouzid, com’è stato per l'olandese Nasser, fa volare, affrontando uno dei momenti iniziali del percorso, la ricerca di accettazione di un adolescente da parte della famiglia, e regalando un lieto fine. In questa narrazione sorprendono (oppure no?) le similitudini tra la versione ‘araba’ e quella ‘europea’: in entrambe c’è già un cerchio di persone che conosce e accetta la diversità dei protagonisti e il percorso di avvicinamento ancora mancante è sempre verso la figura femminile di riferimento (qui la sorella-mamma, là la madre). Non è dunque una lotta contro il mondo che viene raccontata, ma l’ultimo passo (il più importante) verso una nuova creazione di sè con il benefico e necessario ‘consenso’ di chi ti ha messo al mondo.

Nel panorama variegato, ma sempre ricostruito, che abbiamo osservato, arriva in ultimo (ed era ora!) il documentario israeliano Oriented di Jake Witzenfeld a immergere a piene mani il cinema nella realtà, e precisamente nelle vite di Ishader, Fadi e Naeem, tre amici gay palestinesi d’Israele.

Senza filtro, ci affacciamo sulle loro vite private, assistiamo ai loro tormenti, tra le libertà che si concedono e le limitazioni a cui sono soggetti. Il confronto con le rispettive - e diversissime - famiglie (più o meno a conoscenza del loro essere omosessuali), i momenti pubblici che ne fanno soggetti attivi, in alcuni casi della lotta del popolo palestinese, in altri di quella LGBT, fino all’esperienza della vita: il caleidoscopico e liberatorio Pride di Berlino.
Nonostante il grande e a tratti troppo evidente lavoro di sceneggiatura, che direziona la storia su binari prescelti e direttrici sovente scontate, i protagonisti conquistano e, nella loro diversità, la genuinità delle loro parole e azioni ci mostra un mondo di possibilità.

Ci piacerà assistere - per ora i tempi non sono maturi - ad uno sguardo profondo sul reale di un mondo musulmano omosessuale che si osserva e riesce ad essere osservato. Intanto al TGLFF 2016 se n'è parlato.

11/05/2016, 08:11

Sara Galignano