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Rossella Schillaci: "Madri e figli insieme in carcere"


La regista racconto il suo "Ninna Nanna Prigioniera", ambientato nel reparto dedicato alle detenuti madri di figli minori di 3 anni all'interno del carcere Lorusso e Cutugno di Torino.


Rossella Schillaci:
Rossella Schillaci
Anteprima assoluta a Bologna per il Biografilm Festival per "Ninna Nanna Prigioniera", nuovo documentario di Rossella Schillaci.
Ambientato nel reparto dedicato alle detenuti madri di figli minori di 3 anni all'interno del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, il racconto si concentra su Jasmina, 24 anni, e i suoi due bambini, Lolita e Diego. La loro quotidianità, le loro difficoltà, la vita dietro le sbarre di una famiglia.
Abbiamo intervistato la regista.

Come sei entrata in contatto con questa realtà?

Ho conosciuto questa realtà qualche anno fa, ho scoperto che i bambini fino a 3 anni potevano stare con le madri perché ho frequentato il nido dove andavano qualche ora al mattino. Ne ho parlato con le educatrici, non ne sapevo nulla e mi sono documentata.
Mi ha subito colpito il paradosso, una legge da un lato molto umana (testimonia che i bimbi hanno bisogno di stare con le madri) ma anche paradossale (li si fa crescere in un luogo inadatto).
Ho iniziato a cercare, indagare, poi sono entrata in contatto con il carcere per capire se e come si poteva fare un documentario.

Quali sono stati i tempi e le modalità di realizzazione?

Tutto è iniziato 4-5 anni fa, è andato tutto lentamente: all'inizio volevo solo saperne di più, poi 3 anni fa ho iniziato a pensare al progetto di documentario.
C'è stato all'inizio un periodo di ricerca senza videocamera, per me era importante, stavo lì alcune ore al giorno. In fase di riprese invece avevo un permesso per stare tutto il giorno, dalle 8 alle 20, ed è cambiata completamente la mia visione: non hai più il senso del tempo, 15 minuti sembrano 2 ore, non capisci, senti urlare e nessuno dice nulla... allo stesso tempo poi torni a casa, è straniante.
Per me era molto difficile far combaciare i due mondi, mi sono molto confrontata con l'operatrice, eravamo molto spesso solo noi due per mantenere l'intimità dell'ambiente.

Immagino siano state molte le difficoltà incontrate.

Sì, sono state enormi, anche solo per avere le autorizzazioni...
Da una parte ci sono state sul lato-carcere, è stato molto difficile capire come funziona, ognuno ne ha una visione diversa (in 3 anni sono cambiati tre direttori, ogni volta dovevamo ricominciare a coinvolgerli, e anche se sono stati sempre molto comprensivi è stata una fatica...). È un carcere, ci sono una serie di regole, molte delle quali non scritte, ci vuole tempo per capire come muoversi, per rispettare il lavoro delle guardie riuscendo a fare il proprio.
Ma per me la maggiore difficoltà è stata a livello umano, emotivamente è stato molto forte.

Essere madre ha cambiato il tuo approccio al tema?

Ho un bimbo della stessa età, mi sono immedesimata molto nella madre, avevo un occhio di riguardo per i bambini, non potevo non confrontare le loro vite.
L'ambiente carcerario mi ha sempre interessato, ma è ovvio che mi abbia colpito la relazione madre-figli: essere madre mi ha fatto nascere molte più domande, riflessioni, voglia di scoprire...
Mi ha colpito come le madri riescano in buona parte a ricreare le stesse routine, usando strategie comuni a tutte le madri. Anche questo è stato interessante per me.

Tema complesso quanto sia giusto per una madre tenersi i bambini in carcere...

È uno dei temi più contraddittori, dal di fuori è facile pensare che ci sia una strumentalizzazione, tenersi i bambini per poter sperare di avere una riduzione di pena o il passaggio ai domiciliari.
Facile dire così, le madri con bambini piccoli hanno più possibilità (giustamente) di avere vantaggi: ma non dimentichiamo che quasi tutte hanno anche figli fuori, maggiori di 3 anni, e per loro è doloroso, il loro è un tentativo di trovare la soluzione migliore per tutti. Non è facile. Il mio tentativo è sempre stato quello di comprendere, non di giudicare.

Come hai scelto la storia da raccontare, e come hai capito quando concluderla?

All'inizio ovviamente non conoscevo i personaggi. Quando abbiamo iniziato a girare Jasmina mi è sembrata - rispetto alle altre donne che ho conosciuto - dotata di grande grinta, di molta forza, di molta voglia di resistere.
Non volevo raccontare solo dolore, ma anche il quotidiano lavorare per creare un clima sereno per i propri figli. Man mano, poi, ho capito che concentrarsi su una storia sola era la scelta migliore per approfondire un tema così complesso.
Senza raccontare il finale del documentario, posso dire che le ultime immagini che si vedono sono le ultime che abbiamo girato. È successo qualcosa che ha cambiato lo stato d'animo di Jasmina, e in quel momento ho capito che il mio racconto si era concluso.

E adesso?

Dopo l'anteprima al Biografilm Festival non abbiamo ancora date confermate. In autunno faremo altri festival, anche all'estero, l'idea con Indyca è quella di lavorare su una distribuzione nei cinema, mirata. E poi anche nelle carceri, ci tengo moltissimo.

12/06/2016, 09:00

Carlo Griseri