Note di regia di "Mio Duce ti Scrivo"
Negli anni ’30, quando il suo consenso presso gli italiani era all’apice, Mussolini riceveva anche più di mille missive al giorno tra lettere, cartoline postali e telegrammi, che venivano raccolte e aperte presso la Segreteria Particolare del Duce, un ufficio istituito appositamente per il disbrigo della corrispondenza. Nel corso degli anni, per poter far fronte alla crescente mole di lavoro, la SPD aumentò il proprio organico fino a impiegare decine di funzionari. Il loro compito principale era selezionare una parte di queste lettere e portarla all’attenzione di Mussolini, il quale dopo averle lette spesso disponeva che fosse data loro risposta. Gli italiani dovevano avere infatti la sensazione che il duce li ascoltasse, li conoscesse e li amasse uno per uno.
Le lettere venivano divise tra Carteggio Riservato e Ordinario. Nel primo venivano raccolte quelle che potevano avere una qualche rilevanza politica: lamentele, denunce, più spesso delazioni, che giungevano copiose sul conto di personaggi del potere economico, sui gerarchi del regime, persino sulla famiglia reale. Mussolini ne portò una parte con sé fin negli ultimi giorni della sua fuga, pensando probabilmente di poterle usare come ultima arma di ricatto. Erano il risultato della fitta rete di maldicenze e accuse incrociate che si agitava sotto la superficie dell’immagine ufficiale del fascismo, e testimoniavano dei tanti abusi di potere e malversazioni che la propaganda naturalmente censurava.
Nel Carteggio Ordinario, invece, veniva raccolto tutto il resto: per lo più richieste di aiuti economici, sotto forma di sussidi, elemosine, posti di lavoro, esenzioni.
Ma molte lettere intendevano soltanto esternare al duce i propri sentimenti di ammirazione, amore e fede fascista, oppure raccontare le difficoltà della propria esistenza come si potrebbero raccontare a un padre “che tutto può”, o a un confessore. Venivano per l’appunto raccolte in fascicoli intestati “Sentimenti per il duce”.
Il flusso di queste lettere diventava ancora più imponente in determinate occasioni: ad esempio in corrispondenza delle festività, del compleanno del duce, o della malattia di un suo familiare; dopo gli attentati da lui subiti; oppure in occasione di una celebrazione fascista, dopo un importante discorso radiofonico, o in concomitanza dell’inizio di una nuova impresa militare. Di tutta questa immensa mole di corrispondenza, solo una parte è arrivata fino a noi; la stragrande maggioranza è andata distrutta nell’immediatezza della fine del fascismo. Ciò nonostante, nei sotterranei dell’Archivio Nazionale di Stato sono tuttora custoditi circa tremila faldoni, contenenti un totale approssimativo di circa 5-600mila lettere. In parte catalogate per mittente, ma da una certa data in poi archiviate in maniera sommaria per argomenti.
Quando ho iniziato le ricerche per questo documentario, sono partito dai libri che in passato avevano pubblicato delle selezioni, seppur abbastanza casuali, delle lettere. Ma andando poi all’Archivio di Stato a cercare gli originali, mi sono trovato di fronte a uno sterminato, emozionante oceano di storie. E mi sono messo alla ricerca di ulteriori inediti.
Lettere sgualcite, scritte a mano con calligrafia incerta, ingiallite dal tempo, uscivano per la prima volta da quei faldoni per raccontare speranze, desideri, angosce di persone di cui si era ormai perduta la memoria. Storie che chiedevano di essere sottratte all’oblio, perché permettevano di comprendere quale fosse stato, al di là della retorica di regime, il rapporto tra gli italiani e il duce, e come l’immagine del duce si fosse evoluta da quella di un Salvatore della Patria dai tratti divini a quella del truce assassino di un’intera generazione.
Lo sforzo principale è stato a quel punto selezionare i testi, e costruire attraverso di essi un filo conduttore che mi portasse da una tematica a un’altra: dalle lettere di amore erotico a quelle colme di ingenuità scritte dai bambini (tra questi, il piccolo Andrea Camilleri); da quelle anonime e delatorie a quelle dei genitori dei caduti in battaglia; da quelle degli ebrei colpiti dalle leggi razziali a quelle in cui le critiche per l’ingresso in guerra diventano vere e proprie invettive rabbiose, scritte sotto le bombe degli Alleati. Infine, supportato dalle immagini di repertorio dell’Istituto Luce, e aiutato dalle musiche originali di Alessandra Celletti, ho chiesto a degli attori di dare voce e volto a quei misteriosi mittenti, e di far rivivere le emozioni che li spinsero, allora, a prendere carta e penna per scrivere - così era scritto sulla busta, senza indirizzo - al “Duce del Fascismo”. Raccontandogli la loro verità umana, che adesso è parte della storia del nostro paese.
Massimo Martella