Note di regia di "Domus Amoris"
Un bordello, in un vecchio palazzo, in un vicolo napoletano, degli gli anni 40/50, in pieno periodo post fascista, quando la guerra era da poco finita, trascinando con sé ogni retaggio culturale e sociale, fa da cornice a brevi ed intense storie di uomini (prostituti) e di ricche donne (clienti).
La scelta atipica di invertire ruoli, immaginando l’universo maschile che si cala in specifici situazioni, nasce dal personale convincimento che, l’essere umano, venda il proprio corpo, ed in primis la sua anima, esattamente allo stesso modo.
Essi vestono “panni” che possono essere indossati in maniera vicendevole da ambo i sessi, dando così alla vista dello spettatore un senso di frivola leggerezza, senza però mai abbandonare la propria mascolina virilità.
Le ricche donne – clienti desiderose di dare concretezza a pensieri, desideri e fantasie più o meno lussuriosi, esprimono l’inequivocabile effige della reciprocità di quel ruolo, radicalmente appartenuto, da sempre, al mondo maschile.
Squallidi riti e prassi comportamentali, pongono una di fronte all’altra, due anime, nella miseria di una stanza, inequivocabile tempio di lussuria e concupiscenza, e quasi come per magia, proprio lì accade il portento d’amore.
La ricca tenutaria che riscopre la sua anima attraverso sentimenti (puliti ma ormai dimenticati), per uno dei suoi giovani prostituti.
Sentimenti nobilitati, attraverso il ricordo della meraviglia della purezza di un animo fanciullo, fino ad arrivare alla sublime e definitiva separazione tra l’amore stesso ed il concetto di possesso.
Vite di personaggi dunque, che si intrecciano, raccontate anche da una voce narrante, per meglio definire profili e collocazioni temporali.
Maria Verde