VENEZIA 73 - "Le Ultime Cose" finiscono al Banco
Raccontare la crisi attraverso la perdita di quegli oggetti che avevano segnato il benessere. Un banco dei pegni, un gruppo di strozzini in agguato sul marciapiede e una serie di poveri cristi, arrivati a un capolinea che forse non è solo il loro ma quello di uno stile di vita.
L'opera prima di
Irene Dionisio è una messa in scena dall'aspetto crudo e freddo, quasi documentaristico, ma con personaggi costruiti in maniera curata intorno a un gruppo di attori misurati e mai sopra le righe.
"
Le Ultime cose" potrebbe assomigliare a quei film italiani della seconda metà degli anni 50, da "
Il Bidone" di
Federico Fellini a "
I magliari" di
Francesco Rosi, film che raccontavano la fine di un periodo buio con la luce del benessere che appariva in fondo al tunnel ma dove la ricchezza era cercata e trovata senza alcuna pietà, attraverso metodi poco legali.
Nel film della Dionisio la situazione storica è ribaltata ma i metodi sembrano essere gli stessi; lo stile del racconto però assume un'amarezza di fondo che la sospensione delle storie, e l'assenza del finale, rende ancora più spietata.
Il limite del film è, come spesso accade nelle opere prime, una certa propensione a non spingere sull'acceleratore quando la storia lo permetterebbe, lasciando il dubbio che più che di ricerca di oggettività si tratti di insicurezza. Ma ci sta, in un'opera prima complicata dove di certo gli attori sono ben diretti e la regia non incappa in alcun errore degno di nota.
02/09/2016, 17:31
Stefano Amadio