VENEZIA 73 - Distruggere il "Monte" per guardare al futuro
Non esiste un dio da implorare. Non esiste un fato da attendere. Se un uomo vuole davvero mutare il proprio futuro non può che farlo con le sue stesse mani.
Dopo il lungo periodo persiano e il successivo approdo a New York, il regista iraniano
Amir Naderi porta la sua macchina da presa in Alto Adige e in "
Monte" mette in scena la sfida di un uomo contro la sua personale montagna.
In un imprecisato momento del Medioevo, all'interno di un villaggio ormai abbandonato a causa del perseverare di carestia e morte, Angelo e la sua famiglia fanno una scelta di resistenza. Homo faber fortunae suae, così se un monte si eleva tanto in alto da non far filtrare più la luce solare, l'unica soluzione è armarsi di piccone e cominciare a colpire. E' solo una questione di tempo. E' solo una questione di volontà.
Per rappresentare una vita che sembra scivolare via da ogni cosa, il regista adotta delle scelte votate alla sottrazione, portando ogni singolo elemento fino all'osso. Lo fa cromaticamente, con una scala di grigi e la quasi assenza di colori. Lo fa con la narrazione, con tempi lunghissimi e poche azioni che meccanicamente si ripetono. Lo fa soprattutto nella recitazione, con un bravo
Andrea Sartoretti chiamato ad interpretare un padre e marito quasi asettico, che parla poco ma lavora tanto di braccia.
Fatica e sudore, sporco e sangue. E' questa la lotta umana alla sopravvivenza immaginata da Naderi, una sfida cinematografica lanciata allo spettatore che, se vorrà accoglierla, saprà lasciare un segno indelebile.
07/09/2016, 12:57
Antonio Capellupo