Note di regia di "Rapido 904 - La Strage di Natale"
Mi sono trovato per la prima volta di fronte a qualcuno sopravvissuto ad un attentato nel 2010, quando ho lavorato al progetto fotografico e video “Una giornata estiva” sul 2 agosto 1980 a Bologna. Allora ho incontrato Sonia Zanotti, che all’epoca della strage era una ragazzina: l’esplosione nella sala d’attesa della stazione l’ha ferita in modo molto grave, ha quasi perso un piede, e ha passato il resto della sua giovinezza tra cure ospedaliere e trattamenti riabilitativi. Nonostante questo trauma, e le ferite che ancora oggi non sono completamente sanate, Sonia è una persona allegra, forte, con due meravigliosi bambini, piena di interessi e curiosità.
Durante l’incontro eravamo entrambi imbarazzati. Io per la prima volta facevo un lavoro di questo tipo, e sentivo una grande responsabilità. Sonia per la prima volta raccontava ad un estraneo, davanti a una videocamera, la sua esperienza: per riuscire a farlo ci aveva messo trent’anni.
Solo allora ho pensato che cosa fa davvero una strage, oltre ad uccidere. Entra nell’intimità delle persone, delle loro famiglie, genera anime ferite che spesso nascondono il loro dolore, cercano di rimuoverlo, sia per pudore sia perché lo Stato non si è mai occupato di fornire percorsi di assistenza psicologica. E’ quindi davvero difficile per un sopravvissuto riuscire a raccontare; arrivare a farlo è il frutto di un cammino spesso solitario, è una scelta profonda e meditata. Ed è anche un atto di fiducia. Le parole di Sonia e poi quelle delle altre persone incontrate erano un dono prezioso, andavano trattate con rispetto, usate come strumento di memoria.
Oggi ho deciso di provare a raccontare con lo stesso punto di vista un’altra strage, considerata “minore” e per questo quasi cancellata nella terribile gerarchia della memoria collettiva: quella del 23 dicembre 1984, la “strage di Natale” sul treno Rapido 904, in cui morirono sedici persone e più di duecento rimasero ferite.
Trent’anni dopo, nel 2014, si apriva a Firenze il processo a Totò Riina, accusato di essere il mandante di quella che è considerata come la prima strage di mafia in Italia. L’apertura di un nuovo capitolo della complessa vicenda processuale proprio nell’anno del trentennale della strage mi ha portato all’idea di intrecciare due piani narrativi: quello intimo delle storie di alcuni dei feriti, e quello attuale del processo, che ho seguito fino alla sentenza, nell’aprile 2015.
Con questo lavoro mi interessa raccontare che cosa fa una strage alle persone, che segni lascia nella loro memoria, mi interessa indagare il legame tra il contesto pubblico, storico ed istituzionale e questi dolori privati ed intimi. Ognuno dei protagonisti del film ha un suo particolare rapporto con quell’episodio e testimonia alcune delle sfaccettature del trauma subito. Molti di loro, dopo trent’anni di silenzio, hanno accettato oggi di parlare per la prima volta.
Martino Lombezzi