GIPI - "Mi inquieta molto la deriva antiscientifica"
A tre anni dal grande ritorno con "unastoria",
Gipi arriva al Lucca Comics & Games con "
La terra dei figli", graphic novel ambientata in un futuro post apocalittico. In un ambiente arido e inquinato, in cui la virilità ha avuto la meglio su qualsiasi forma di sensibilità, si sviluppa la storia di un padre e due figli intenti a sopravvivere alla carestia.
Intervistato da Cinemaitaliano.info, il fumettista e regista pisano ha raccontato il percorso che lo ha portato a realizzare un affascinante volume attraverso il quale, con attento sguardo politico, osserva i tempi oscuri che stiamo vivendo e ne immagina le inquietanti conseguenze.
Mentre in Italia spopola una new wave di fumettisti che si raccontano in prima persona, tu che spesso lo hai fatto in passato decidi per la prima volta di lanciarti in qualcosa di assolutamente diverso. Cosa ti ha spinto a sparire dalla tua stessa scena?
In passato ho parlato di me tantissimo, ma l'ultima volta che è stato esplicito e palese, ripetendo più volte "sono io", è stato con "La mia vita disegnata male" uscito nel 2008, quindi prima che Facebook diventasse la malattia endemica che è ora. Ora non è che raccontare se stessi lo fanno gli autori, lo fanno tutti. Allora l'idea di essere in quel flusso li, un po mi fa vergognare di esserci anche stato in passato, e non parlo del gusto verso i miei vecchi lavori che ancora mi piacciono. Ormai è la normalità, chiunque appena sveglio scrive se il proprio figlio ha fatto la cacca marrone o beigina, e sei sommerso da questo tipo di informazioni non richieste. Un artista per me è uno che non dovrebbe stare nel flusso principale, se non quando cazzeggia, ma da un'altra parte, perchè se no non è utile a nessuno.
Nel futuro post apocalittico che immagini, la gente comunica con un linguaggio strettamente "social", ma non sa più leggere. Credi che quel fenomeno latente di analfabetismo di ritorno che sta coinvolgendo le nuove generazioni troverà compimento definitivo?
Quella è la parte della storia più agganciata alla contemporaneità, uno sguardo sul mondo in cui sto. Non è tanto legato all'idea della lettura, piuttosto alla scienza. Ho conoscenti e amici che lavorano in quel campo come ricercatori, e ho chiesto loro se questa deriva mistica che mette il cuore davanti al pensiero e il sentire davanti al ragionamento fosse reale, e soprattutto se fosse anche un freno per chi dovrebbe far crescere questa società. Mi hanno detto di si. E' qualcosa che viene dal basso, ma che in alcuni casi ha degli elementi che la fanno cadere a pioggia. Una pioggia talmente diffusa che sembra tornare dal terreno, ma che spesso viene dall'alto. Per cui c'è gente che ti dice che ti curi dal cancro con le piramidi di cristallo o che uno si ammala perchè ha delle questioni emotive irrisolte. Ce ne sono tantissimi e ora di questi individui ne abbiamo anche una nutrita rappresentanza in Parlamento. E' una deriva antiscientifica che puoi vedere come anticulturale, con il termine "professorone" detto contro chiunque sia competente in materia, come se la competenza non fosse più importante.
Un altro elemento completamente assente fra i protagonisti de "La terra dei figli" è l'ironia. Al massimo tra i "fedeli" assistiamo ad un umorismo becero. Credi che la deriva populista di questi porterà all'abbattimento più totale di ogni forma di ironia?
Penso che l'ironia sia frutto di intelligenza. Puoi giocare su un ribaltamento di senso, ma devi prima averlo capito. Quello per cui credo che in futuro ci sarà sempre più spazio è l'opposto, la derisione, il lanciarsi in cento contro uno storpiandone il nome o le qualità in difetti. Per colpa dei social non sopporto nemmeno più la parola "ironia", perchè sembra che tu debba esserlo per forza ironico. Ma purtroppo se non hai le abilità di base fai casini, diventi solo cinico. L'ironia sana ti richiede una certa compassione verso il mondo che abiti e il tema che stai trattando, se non hai quella diventa altra roba.
Dopo tanta durezza, fredda virilità e apparente assenza di emozioni, decidi di offrire al lettore un grande raggio di speranza racchiuso in un piccolo gesto. Una cosa del genere era davvero rara per il vecchio Gipi, vero?
Questo libro per me è una cosa completamente nuova. Prima di tutto perchè non c'è la mia presenza come autore che richiede amore al lettore, quel patto iniziale che diceva "indipendentemente da ciò che leggerai nel libro devi volermi bene perchè faccio con te un'offerta sacrificale di sincerità e onestà totale". Negli ultimi tre anni sono oggettivamente cambiato come persona, e non sento più il bisogno di richiedere un amore indefinibile da parte di sconosciuti. Mi sono potuto togliere dalla storia.
E non ti manchi?
No, per nulla. Sono molto fiero di questa storia e dell'aver cambiato tutto. Di aver tolto la voce narrante o il colore, che usato in un certo senso diventava un modo abbastanza paraculo di ingraziarsi lo sguardo del lettore. Ho provato a rischiare con una storia che è solo uno scheletro, un osso di seppia pulito dal mare.
Un osso di seppia molto cinematografico...
Assolutamente si. Purtroppo, e lo dico per il lavoro che poi c'è stato dietro per farlo, togliendo la voce narrante le ellissi mi sono state precluse completamente. Quindi tutto è diventato azione, e l'azione devi inquadrarla, raccontare e far comprendere, perchè non c'è mai la voce che ti dice "un mese dopo i ragazzi erano molto tristi".
In questo l'esperienza maturata da regista quanto ha contribuito?
Mi è servita di sicuro, ma quel poco di cinema che ho fatto ha rafforzato un'idea già presente. Ho sempre pensato le scene dei fumetti, a parte quelle deliranti, come costruzione di uno spazio e posizionamento di un punto di vista. Ne "La terra dei figli" sono arrivato al punto di farmi le mappe e inserire le inquadrature e i punti di ripresa. E in più qui c'è la questione dell'azione, del movimento, del cambio da vignetta a vignetta. Ho imparato un sacco di cose, mi sono ritrovato a dover rifare la testa di un personaggio ruotata di tre gradi in meno perchè mi facilitava il passaggio dell'occhio da una vignetta all'altra, e mentre lo facevo pensavo di essere pazzo. Credevo come al solito che il libro avrebbe fatto schifo a tutti, perchè non ci avrebbero ritrovato le cose mie, quello a cui erano abituati. Mi dicevo che sarebbe piaciuto solo a chi con pazienza si fosse messo a guardare la regia interna. Poi con i primi test di lettori mi sono accorto che quel lavoro passava in gran segreto. La maggior parte del lavoro l'avevo sempre fatto attraverso le parole. I momenti di commozione venivano sempre da alcune frasi, penso a casi come "unastoria" o il "
c'era amore dappertutto" nel finale di "LMVDM". Un volume come "S." procedeva così tanto per parole che potevi togliere le immagini, qui è il contrario.
Un anno fa eri qui a Lucca per lanciare il tuo gioco da tavolo "Bruti". Quest'anno per promuovere l'espansione "Ciurma", hai lavorato ancora una volta in animazione. Ma è così impensabile immaginare Gipi alla regia di un vero e proprio film d'animazione?
Ci ho pensato si all'animazione, e ho una storia che vorrei fare. L'unica cosa che mi spaventa sono i tempi di lavorazione, l'idea di stare quattro anni su un singolo progetto senza via di fuga o di possibilità di essere rapito da altro mi spaventa molto.
E nella serialità televisiva?
Quella è un'altra possibilità che si è aperta ora, e un po di voglia ce l'avrei. Non ne so nulla da un punto di vista tecnico, quindi dovrei mettermi a studiare. Mi piace un sacco imparare roba nuova, è il mio metodo anti-invecchiamento buttarmi in cose che non so fare.
01/11/2016, 07:00
Antonio Capellupo