I CORMORANI - Intervista al regista Fabio Bobbio
In uscita dal 1° dicembre il film d'esordio alla regia di
Fabio Bobbio, "I Cormorani". Lo abbiamo intervistato prima della presentazione a Torino per il
Sottodiciotto Film Festival.
Come mai hai scelto questo progetto per il tuo esordio alla regia?
L'idea del progetto è nata quando vivevo all'estero, ho vissuto sette anni a Barcellona. In quel periodo tornavo d'estate in Canavese, dove sono nato, quando gli amici erano via e non c'era nessuno. Ho cominciato a girare per i boschi che circondano Rivarolo, la mia città, e hanno iniziato a venirmi alla mente tutti i ricordi di quella parte della mia vita, il passaggio dall'infanzia all'adolescenza.
Tornando a Barcellona ho cominciato a lavorare su delle idee che si facevano sempre più "costruite" nella struttura. Tre anni fa sono tornato in Italia e ho iniziato a scriverlo.
All'inizio erano ricordi molto autobiografici, poi si sono congiunti a quelli di altri, il ricordo dei libri e dei film che parlano di quella fase della vita...
Chi sono Samuele e Matteo, i tuoi co-protagonisti: come li ha incontrati e scelti?
Avevo in testa l'idea irremovibile che dovessero essere due ragazzi del territorio, che lo conoscessero bene e avessero un legame con esso.
Abbiamo incontrato circa 150 ragazzi della zona, con dei casting che erano un po' particolari, erano più delle piccole interviste, degli scambi di opinioni sulla loro vita, su ciò che facevano d'estate.
Questo momento è stato molto importante anche per confrontarmi con una intera generazione del territorio. Samuele e Matteo sono stati tra gli ultimi ragazzi che abbiamo incontrato, le loro facce sono diventate subito quelle dei personaggi che da anni mi immaginavo.
La loro mancanza di consapevolezza di se stessi, tipica di quella età, è stata decisiva: avevano ancora quella tipicità dell'infanzia che permetteva loro di essere spontanei davanti alla videocamera.
Documentario/fiction, i confini sono labili. Quanto c'è di scritto? Come definiresti il tuo lavoro?
Non saprei farlo, davvero. È una domanda che mi pongono spesso, anche io mi sono posto il problema di dove arrivasse il documentario e dove la parte fiction. È un film non scritto, abbiamo scelto di lavorare per situazioni, ne abbiamo scritte una decina che sono poi alcune delle linee narrative che ci sono nel film.
Volevo che si mantenesse la freschezza dei ragazzi, abbiamo creato situazioni fittizie in cui loro potevano muoversi liberamente, agendo come fosse un vero e proprio gioco di ruolo. Così abbiamo rispettato la freschezza dei loro comportamenti potendo però guidare lo sviluppo della storia.
Finzione e doc vanno di pari passo per tutto il film: una struttura di fiction e un approccio della scena documentaristico.
Quali sono state le tue ispirazioni? Vedendolo abbiamo ritrovato sensazioni simili a quelle de "L'estate di Giacomo"...
Ammetto di averlo visto solo dopo aver scritto il mio film! L'ho amato moltissimo, mi ha influenzato perché mi ha fatto capire come questo tipo di cinema poteva funzionare...
L'idea iniziale del film è stata un'idea di metodo di lavoro, più che quella di raccontare la storia di Samuele e Matteo.
Mi piaceva provare quest'avventura, immergerci anche con la troupe in una cosa nuova: quando abbiamo iniziato a girare la difficoltà è stata mantenere la loro fiducia, dicevo loro che sarebbe capitato di passare giornate senza girare nulla di buono... È stato strano, è stata un'avventura che abbiamo vissuto insieme, è stato un momento in qualche modo mistico per tutti.
Il tuo curriculum da montatore avrebbe fatto pensare a un lavoro in cui il montaggio fosse preminente...
Quando monto un film sono sempre rispettoso delle immagini, taglio poco, sono sempre molto restìo, sono un montatore un po' strano in questo senso!
La parte più bella del lavoro è arrivare in sala di montaggio con del materiale vivo, lo abbiamo in buona parte scritto lì: devo ringraziare i miei produttori, non è facile aver fiducia in un progetto così...
È stato bello montare materiale mio, ma anche brutto quando dovevo tagliare... Uno dei metodi che abbiamo utilizzato è stato montare durante le riprese, per gestire le mille linee narrative che inevitabilmente si aprono in un progetto fatto così.
Quando abbiamo finito di girare, avevo chiaro in testa di ciò che avrei voluto tenere e cosa no.
01/12/2016, 12:11
Carlo Griseri