Note di regia di "Paolo Borsellino Adesso Tocca a Me"
Abbiamo deciso di raccontare la tragica fine del giudice Paolo Borsellino e degli agenti Claudio
Traina, Agostino Catalano, Walter Cosina, Emanuela Loi e Vincenzo Li Muli, attraverso
il punto di vista dell’unico sopravvissuto all’attentato, l’agente Antonio Vullo. In quei fatidici
57 giorni, che vanno dalla strage di Capaci a quella di Via d’Amelio, Antonio è stato uno degli
angeli di Borsellino. Solo grazie ad una fatalità quel giorno è sopravvissuto. Quando è esplosa la
126 stava facendo manovra su un’auto blindata e questo lo ha salvato. I suoi compagni e il giudice che erano invece all’esterno, senza difese, sono stati travolti dall’esplosione. Il proprio fortunato destino Antonio l’ha vissuto e lo vive tutt’oggi come una colpa.
Quando lo abbiamo conosciuto, abbiamo subito capito che Antonio è un uomo semplice e
tranquillo, per questo non ha mai fatto pubblicità alla propria condizione di reduce, per questo in
tutti questi anni si tiene in disparte e non ama essere al centro dell’attenzione quando si ricorda
la strage. Lui, assieme alla famiglia Borsellino e agli altri familiari, dopo via d’Amelio è stato
testimone di 25 anni di peripezie investigative e giudiziarie che di fatto hanno allontanato il raggiungimento della verità. Oggi Antonio ha accettato di raccontare la storia dal suo punto di vista perché, proprio come tutti i familiari delle vittime, vuole la verità per sapere perché e chi ha spezzato la vita delle sei persone che erano con lui quel maledetto 19 luglio. Ricordare questa storia significa per lui ricordare che dopo tutti questi anni ancora non è tutto chiarito.
L’altro fondamentale incontro che ci ha aiutato a costruire la nostra docufiction è stato con Manfredi Borsellino, il figlio del giudice, oggi dirigente del Commissariato di Cefalù. Che lui abbia deciso di diventare un poliziotto nonostante tutto quello che è accaduto sia prima che dopo la strage, sembra quasi un paradosso ma spiega molto bene chi è Manfredi e il profondo senso delle istituzioni che ha ereditato dal padre.
Gli ultimi 57 giorni del giudice Borsellino sono sempre stati raccontati come la storia di un uomo votato al sacrificio, un eroe pronto al martirio dopo l’uccisione del suo amico e collega Giovanni Falcone. Manfredi ci ha aiutato a capire che la realtà è stata più complessa.
Da un lato, infatti, il padre era consapevole che dopo l’eliminazione violenta di Falcone l’obiettivo successivo non poteva che essere lui, dall’altro però lo stesso Borsellino pensava che non fosse finita, che lui e lo Stato avrebbero potuto vincere la guerra contro la mafia. Sapeva che il conto alla rovescia per la sua esecuzione era iniziato, ma era convinto di arrivare prima, di essere vicino a infliggere un colpo mortale a Cosa Nostra e ai suoi sostenitori (che scoprì in quei giorni essere presenti anche nelle istituzioni). Grazie alla testimonianza di Manfredi abbiamo quindi cercato di raccontare un Borsellino dinamico, attivo e umano e questo è stata un’impostazione condivisa da un attore di grande sensibilità come Cesare Bocci, che abbiamo avuto la fortuna di avere come protagonista.
Mi piace per ultimo ricordare i ragazzi siciliani che hanno partecipato a questa esperienza. In tutti loro c’è stato un profondo impegno ed un sincero trasporto. E’ curioso pensare che molti dei giovani attori che sono stati con noi non erano ancora nati (o magari erano nati da pochi anni) quella domenica di luglio del 1992, ma è stato bello vedere che per loro questa docufiction è diventata una sorta di missione. Dai provini al set, sono stati onorati di impersonare questi miti dell’antimafia siciliana. Ricordo in particolare l’emozione e la curiosità di incontrare Manfredi e Antonio, coloro che questa storia l’hanno vissuta sulla propria pelle; ricordo poi la commozione dei ragazzi quando abbiamo messo in scena la camera ardente del giudice Borsellino; o anche quando abbiamo girato la scena della riconsegna della borsa: quando la borsa bruciata è arrivata sul set c’è stato un lungo e significativo silenzio di rispetto. Ecco, se vogliamo guardare al futuro, ad una Sicilia e ad un’Italia che verrà, mi piace pensare ai ragazzi che hanno fatto questo piccolo film (che mi ricordano tanto i ragazzi di allora!), mi piace pensare alla loro idea di giustizia e al senso profondo che hanno dato a quello che abbiamo fatto insieme. Sono convinto che quella di questi giovani è un’immagine di speranza di cui Paolo Borsellino sarebbe fiero.
Francesco Miccichè