Note di regia di "Nato a Casal di Principe"
“Nato a Casal di Principe” racconta una manciata di settimane nella vita di un ragazzo di vent’anni: Amedeo Letizia. Giorni che gli segneranno a fuoco la vita. Tutto inizia da un’immagine di questo ragazzo, sul bordo di un lago, con un fucile in spalla. Un eroe solitario immerso nel mistero di una ricerca. In un territorio, Casal di Principe, in cui i rapporti sono di una fatalità ancestrale, in cui gli uomini girano armati e la camorra sembra endemica. Poi affiora, nei ricordi di Amedeo, un altro contesto, la Roma della fine degli anni 80, dove lui, attore alle prime armi, si comporta con una spavalderia e una violenza che ha appreso tra i camorristi del suo paese e che usa per giocare al duro tra i suoi amici attori. Ma tutto sta facendo cortocircuito ora in lui. Nel suo paese hanno rapito il fratello. La finzione dei suoi atteggiamenti si sta pericolosamente avvicinando alla realtà.
Questa tensione tra realtà e finzione, tra normalità e criminalità sono la cifra del film. Amedeo è un ragazzo, con tutto il fascino dell’eroe negativo, che guardandosi attraverso lo specchio deformato di ciò che può divenire si rende conto di come fare il meglio. Per farlo dovrà passare attraverso un viaggio iniziatico di dolore, violenza, orrore. Dovrà fare una sua personale guerra votata al fallimento, dovrà mettersi contro suo padre, dovrà rischiare la vita della sua famiglia, dovrà sfidare i suoi demoni interiori e quelli concreti del suo paese, per liberarsi infine delle sue “cattive” origini. “Nato a Casal di Principe” sarà un film tutto filtrato attraverso lo sguardo del suo protagonista, e dei suoi sodali ancora più giovani di lui. Un film di ragazzi che affrontano cose più grandi di loro. Un romanzo di formazione.
Ciò che fin dal primo momento mi ha convinto della sceneggiatura di Braucci e Virgilio è la capacità di trattare la storia vera di Amedeo Letizia, piena di risvolti sociali e di denuncia, con una scrittura visionaria capace di trasfigurare l’anima sdoppiata di Amedeo tra sentimenti di vendetta, coscienza del male, voglia di apparire un figo nella Roma degli attori emergenti, in altrettanti momenti visivi, in altrettanti passaggi narrativi che assumono carattere simbolico senza mai cedere in nulla alla secchezza della cronaca e del racconto. È qui che mi sono sentito a mio agio. In questa sfida. Ed è su questo terreno che si gioca la regia del film.
Ho pensato molto a “Fronte del Porto” di Elia Kazan, al personaggio di Terry Malloy interpretato da Marlon Brando, un ragazzo, che ci fa scoprire la corruzione del porto di New York attraverso il suo tormento interiore per aver sempre accettato tutto, anche cedere ai suoi sogni di gloria nel pugilato. E poi ho pensato a “La Promesse” dei fratelli Dardenne, sempre per lo sguardo, anche qui ottuso, parziale, di un ragazzo su un mondo corrotto, quello del padre, che traffica in immigrati. Due modi di trattare un problema sociale che però si impongono per la forza dello sguardo del protagonista. Sono due sguardi non innocenti, tutti imbevuti dell’ideologia del mondo che vivono del quale prendono coscienza durante il racconto. Come accade in “Nato a Casal di Principe”, dove lo sguardo ferito, poi cattivo, alla fine dolce di Amedeo ci conduce alla scoperta del suo mondo. La scrittura fatta di flashback, incubi, pensieri che si concretizzano in immagini, e soprattutto la grande quantità di “scene madri” di questo film dovrà essere resa attraverso una regia e una fotografia il più possibile naturali, che riporti il senso del vero e del concreto dello sguardo di Amedeo. Che Amedeo guardi i camorristi o la religiosità della madre, le armi o i sentimenti di colpa della famiglia, è sempre il suo mondo che guarda. Sono tante parti di se stesso che noi decifriamo attraverso il suo processo di trasformazione in atto.
Anche il passato e il presente coesistono nello sguardo del protagonista, in piani sequenza nei quali l’azione dei personaggi non si interrompe, passa da un piano all’altro senza soluzione di continuità. Dal presente al passato come dalla realtà alla finzione. Il passaggio dal libro al film ha prodotto con precisone visionaria questi passaggi tra piani diversi, temporali, semantici, emotivi.
Amedeo Letizia scrive nel libro da cui è tratto il film: “non mi rendevo conto che esisteva un mondo, un mondo con regole diverse, diciamo normali, fuori da Casal di Principe, dove la legge del più forte, dove le armi, erano la normalità...”. La natura profonda del conflitto del film sta qui dentro. Nella presa di coscienza del mondo da parte di Amedeo. Da un lato il suo essere fiero delle sue origini che usa per essere protagonista a Roma, dall’altro rendersi conto che queste origini sono radicate in quel complesso di costruzioni sociali, economiche, familiari che sono poi una sorta di boscaglia fitta in cui nasce e cresce il male che ha condannato suo fratello, cioè un ragazzo del sud qualsiasi.
Attraverso questo personaggio “Nato a Casal di Principe” si addentra in territori inesplorati in questo tipo di racconti. Racconta in azione, ad altezza dello sguardo di Amedeo l’esistenza di tutte le sfumature di grigio che costituiscono i contesti nei quali una mafia potente come quella dei Casalesi si può sviluppare. Per rendere questa complessità la regia di “Nato a Casal di Principe” gioca la carta dell’utilizzo di alcuni topos del western: un racconto che si dipana senza spiegare i fenomeni sociali perché tutti sappiamo che nel vecchio west le regole valgono quel che valgono. E quindi l’ambientazione nel territorio intorno a Casal di Principe, “la terra di lavoro” con i suoi sterminati campi di tabacco e broccoli, il fiume, le rovine delle vestigia di un passato prestigioso e mitico delle Regge Borboniche come Carditello, le masserie con i bufali e i paesi fantasma, i laghi dei Campi Flegrei con le rovine romane affondate, creeranno una forza immaginifica che circonda i giovani protagonisti nel mistero della loro ricerca, della loro crescita.
Anche l’ambientazione Romana, tra gli studios di Cinecittà, e i ponti, il Tevere, riportano nel film un tema da Western, lo spaesamento del ragazzo che scopre la città. Uno spaesamento che il protagonista sente a Roma come a Casal di Principe. Roma poi con la sua “svagata” leggerezza da anni ‘80 sarà il luogo nel quale il protagonista sentirà più fortemente il dover cambiare, il poterlo fare. E la regia qui accompagnerà questo movimento cambiando di tono tra la prima e la seconda parte. Prima: un luogo di eccessi, gli studi televisivi, le donne, lo spettacolo tristemente post felliniano; poi: il racconto di un anima in pena, ancora sul limite di una decisione da prendere, immerso nella bellezza della città eterna. Mano a mano che Amedeo vuole smettere di essere il folklorico “lupo” violento che viene dalla provincia, così il film aderirà al suo personaggio, gli si avvicinerà fino ad arrivare alla scena del provino per la serie nella quale, per il personaggio, ogni finzione è diventata di troppo, e Amedeo è finalmente in contatto profondo con la realtà, la sua intima realtà.
Bruno Oliviero