Fondazione Fare Cinema
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Note di regia de "La Lucida Follia di Marco Ferreri"


Note di regia de
Una scena de "La Lucida Follia di Marco Ferreri"
Era la primavera del 2016 quando Nicoletta Ercole, che avevo conosciuto come costumista e fiduciaria di Marco Ferreri, mi chiamò per chiedere se avevo voglia di girare un docu-film per rilanciare il suo immenso cinema. Autore dell’epoca omerica del cinema italiano, Ferreri era ormai caduto in un oblio che sa di rimozione, e sconosciuto dalle generazioni successive alla sua scomparsa. L’occasione era il ventesimo anniversario della sua morte avvenuta a Parigi il 9 maggio del 1997. Lavorare a stretto contatto con Marco Ferreri per lunghi mesi è stata una delle esperienze più sconvolgenti e decisive nella mia formazione professionale ed esistenziale.
Fare il critico mi ha permesso di approfondire l’esperienza pratica acquisita su tanti set, accanto ad autori italiani della stessa splendente costellazione di Ferreri: il progetto non poteva essere più calzante.
Ho detto subito di sì.
Nel 1977 vivevo a Los Angeles, quando un giorno di primavera mi chiamò Marco Ferreri. Voleva incontrarmi per parlare del film che avrebbe girato in inglese a New York e a Roma a fine agosto, Ciao maschio. Voleva arruolarmi per rendere più scorrevoli i dialoghi inglesi, per fare la dialoghista durante le riprese, e per fargli da aiuto regista per i dialoghi, sovente riscritti prima di un ciak perché aderissero meglio ai diversi attori e attrici. Quest’ultimo ruolo era il più delicato, un’enorme responsabilità.
Voleva dire essere l’ombra e le orecchie del regista, che non aveva gli strumenti per distinguere se le battute, tutte in lingua inglese nella versione originale, fossero dette e pronunciate adeguatamente. Il compianto regista e autore Elio Petri, suo e mio grande amico, gli aveva fatto il mio nome. Marco non ha mai chiesto di vedere un mio curriculum, non era il suo metodo. Oltre alla segnalazione di una persona competente, gli bastava guardarti e osservarti con quello sguardo azzurro traforante e, quando si sentiva a suo agio, incantevole, per decidere se fidarsi di te.
Intorno a Marco Ferreri spesso aleggiava una sostanza cosmica; una magia, un incantesimo, una trascendenza. Aveva antenne che captavano sonorità nascoste, rimosse, spesso pericolose (per se stesso e per gli spettatori), lungimiranti e primarie. Basterebbe il modo in cui ha assorbito e restituito prima di tutti con chiarezza e senza storpiature la questione femminista e della coppia nei suoi film.
Nemmeno Mary Wollstonecraft, Simone de Beauvoir, Kate Millet o Betty Friedan avrebbero saputo drammatizzare con tanta affilata lucidità la condizione femminile e il tormentato, contradittorio dialogo maschio-femmina quanto l’ha fatto lui in ogni suo film. Poi c’è la questione del profumo di zolfo che sempre circonda il cinema di Ferreri e il regista stesso. I suoi sostenitori lo amano e lo apprezzano per il suo spessore intellettuale e artistico. Altri l’hanno attaccato come furbo, pazzo, brutale e incontinente nel proporre storie che destrutturano il sistema e scassano l’immagine purificata, addolcita, che preferiamo avere di noi stessi. Chi lo apprezza coglie l’essenziale: la sua compassione per noi incespicanti figli di Eva. Ma è una verità eterna che chi rompe gli schemi, sconvolge i benpensanti. Approfondire le opere di Ferreri arricchisce la fantasia, allarga lo sguardo sul mondo; ci si accorge del risveglio di neuroni cerebrali che, si scopre, prima sonnecchiavano. Pensavo di aver conosciuto piuttosto bene l’artista e l’uomo, lavorandogli accanto e vedendo l’arcobaleno gravido dei suoi variegati umori e doti. Mi sbagliavo. Sono arrivata a cogliere la sua originalissima visione artistica, l’incessante, irrequieta ricerca sul “legno storto dell’umanità”, solo dopo un salubre tuffo nel suo cinema, nel suo pensiero, nell’impronta che ha lasciato sui collaboratori. Se si seguono con attenzione i suoi film, così limpidi e poco ermetici che diversi spettatori restavano perplessi e anche sconvolti, si scopre un cinema il cui significato è come quello della lettera rubata: talmente palese che chi lo cerca spesso non riesce a vederlo. Se La lucida follia di Marco Ferreri invoglia a scoprire o riscoprire il suo cinema, il nostro compito è fatto.

Anselma Dell’Olio