Note di regia di "Cosa fai a Capodanno?"
Approdare alla regia dalla sceneggiatura è sempre stata la via più naturale (infinita la lista di registi che hanno seguito questo percorso). Naturale sì, ma non preventivata per chi come me, è arrivato alla sceneggiatura dalla scrittura, una sorta di pacifica e ininterrotta invasione di campo che mi ha portato dal romanzo alla regia, senza la nitida sensazione di aver mai cambiato mestiere.
Così, con nemmeno un cortometraggio alle spalle, mi sono ritrovato su un set, a dirigere una commedia corale con unità di luogo, di tempo e di azione. Se nella stesura del copione avevo giocato con i generi, cercando di ibridare la commedia all'italiana (quella più deforme alla Ferreri, o feroce alla Monicelli) con il western tarantiniano e la black comedy alla Coen, adesso tutto ciò doveva trovare una coerenza figurativa, un'armonia di messa in scena. Dopo una ricerca su film del passato e del presente che potevano fornire delle valide referenze visive per il film, con il DOP Maurizio Calvesi, abbiamo deciso di lavorare sul flusso narrativo del film, aumentando progressivamente la luce all'arrivo di ogni coppia nello chalet, per raggiungere il massimo di luminosità all'interno degli ambienti al culmine della coralità. Toni e colori (ciascuna stanza con una sua dominante) erano stati decisi di comune accordo con i reparti di scenografia (Giada Calabria) e costumi (Catia Dottori), che hanno collaborato per raggiungere un risultato che restituisse un sapore e una patina vintage al teatro in cui si sarebbe consumato il dramma dei personaggi.
La conoscenza del linguaggio della sceneggiatura mi ha facilitato (la scrittura per il cinema è innanzitutto visiva) nel rapporto con la macchina da presa. Da un punto di vista più tecnico, ho cercato per quanto possibile di contenere i numerosi personaggi nei totali o di incorniciarli nei campi a due, muovendoli nello spazio, evitando, laddove possibile, di frantumare troppo la narrazione con un nevrotico susseguirsi di piani.
L'intento è sempre stato narrativo, la mdp al servizio della storia che punta il suo obiettivo via via su questo o quel personaggio, che in una commedia corale a turno fanno un passo sul proscenio per portare avanti la trama in una staffetta drammaturgica.
Il copione prevedeva poi dei momenti onirici e lisergici, legati a stati allucinatori. Momenti che abbiamo sottolineato facendo avvertire distintamente la presenza della mdp (una presenza fino ad allora curiosa ma discreta) adottando angoli e punti macchina eccentrici rispetto a un découpage classico. Trovandomi al primo film, la sfida più grande è stata senza dubbio quella della direzione degli attori. Avevo a disposizione un cast di professionisti, attori di comprovata bravura ma dai codici recitativi diversi, che interagivano in scene complesse che prevedevano la compresenza di 6, anche 8 personaggi. Ogni ciak diventava allora un magico quanto delicato "allineamento astrale", in cui dover trovare un equilibrio tra diversi campi gravitazionali. Essendo l'autore della sceneggiatura (che da subito ha coinvolto con entusiasmo gli attori in questo progetto), mi sono appoggiato alla conoscenza del testo, con i suoi sottili rimandi interni e i suoi sottotesti, che ho discusso ampiamente con gli attori in un clima vivace e collaborativo.
Da ultimo, ma non certo per importanza, il lavoro sul suono e sulle musiche di repertorio, molte delle quali previste in sceneggiatura. Per restare allineato con la natura spuria del film (cinema italiano + western + black comedy), anche le musiche pescano in un doppio serbatoio: da una parte quell'inestimabile patrimonio melodico tutto italiano che spazia dal recupero di un interprete come Peppino Gagliardi (Ragazzina) alla voce senza tempo di Ornella Vanoni (La musica è finita), dai successi planetari dell'italian pop anni '80 con i Ricchi e Poveri (Mamma Maria), alle scandalose allusioni della Rettore (Kobra)... Dall'altra sponda dell'Oceano invece arriva la leggendaria tradizione dello standard blues (Fishin' Blues, Taj Mahal) e del blues/gospel (Resurrection Blues, Otis Taylor). A fare da cerniera tra le due anime la musica classica: una Ave Maria di Schubert e un'immancabile hit di Capodanno, la Marcia di Radetzky di J. Strauss.
La sintesi delle due anime, quella western e quella della commedia nera, si compie invece nelle musiche composte da Pasquale Catalano, che gioca con strumenti a corda e su refrain dal vago sapore morriconiano o ricorre al tintinnio inquietante del glockenspiel e alle scosse telluriche del sintetizzatore per esaltare l'anima nera del film. Due linee che si fondono - anche musicalmente -
nello show down finale, la resa dei conti tra i personaggi e le loro maschere allo scoccare della mezzanotte, nel patio notturno e innevato di uno chalet di montagna che somiglia così tanto all'arena assolata davanti a un saloon...
Filippo Bologna