Note di produzione di "Normal"
NORMAL è un progetto quanto mai attuale, che a partire dalla realtà italiana riesce a coinvolgere un pubblico internazionale su un tema largamente condiviso e controverso: il genere e l’impatto sociale della costruzione del maschile e del femminile. Adele Tulli lo affronta con una lucida visionarietà e al contempo con capacità di restituirci l’umanità del quotidiano. Attraversando scene di vita ordinaria in cui potenzialmente tutti possiamo immedesimarci, il protagonista del documentario diventa lo spettatore stesso, stimolato dallo sguardo dell’autrice a dare un nuovo significato a quella che consideriamo ‘normalità’.
Nato in modo indipendente come parte di una ricerca accademica, il progetto è stato successivamente sviluppato dall’autrice con i produttori, elaborando una strategia adeguata al suo carattere non convenzionale. La qualità artistica e la natura sperimentale del progetto, oltre che dai partner produttivi (AAMOD, Istituto Luce Cinecittà, Intramovies, RAI Cinema, Ginestra Film), è stata colta da due importanti riconoscimenti ottenuti in fase di realizzazione: il premio per la post-produzione al Milano Film Network Atelier 2017 e l’Eurimages Lab Project Award (Karlovy Vary 2018).
Stile
Con uno stile che fonde il documentario con il film-saggio, NORMAL gioca con l’artificiosità del processo di produzione cinematografica per rivelare la natura costruita e quindi performativa del mondo intorno a noi. Il film non si propone infatti di offrire un ritratto oggettivo della realtà, ma di riprodurre la complessità del pensiero critico, raccontando il quotidiano da un punto di osservazione dai tratti surreali, come in uno specchio allucinato del mondo circostante, che di proposito gioca a confondere i confini tra normalità e anomalia. La realtà, in effetti, non esiste se non attraverso i nostri occhi e NORMAL, intenzionalmente, mette in discussione l’ordinario, il consueto, il normale appunto, cercando di stimolare nello spettatore nuove chiavi di lettura per interpretarli.
Nonostante siano tutte girate in location reali, con attori sociali ripresi nelle loro vite di ogni giorno, le scene che compongono il film sono caratterizzate da una forma accuratamente composta, che restituisce la sensazione di una artificiosità quasi grottesca. Le inquadrature, alla ricerca di simmetrie innaturali ed omogenee, sono volte a creare un’atmosfera teatrale, scenica, che guarda agli uomini come a maschere pirandelliane, intenti nella ripetizione di cerimonie sociali e rituali collettivi. Allo stesso modo, il suono e la musica, spesso non-naturalistici, allontanano apertamente le immagini dai loro riferimenti più immediati, favorendo un senso di estraneazione dal contesto rappresentato, verso interpretazioni più sospese ed incerte. Il classico linguaggio filmico lineare e coerente è qui abbandonato per lasciare spazio alle associazioni di senso, alle riflessioni e alle impressioni personali. L’effetto desiderato, attraverso uno sguardo insieme critico e partecipe - in bilico tra empatia e distanza - è quello di riflettere sui dispositivi sociali che ci spingono ad aderire e a riprodurre i modelli culturali prevalenti.
In questo modo viene sospesa la rappresentazione realistica, si disperde, si interrompe, lasciando spazio alla dimensione performativa della rappresentazione. Producendo nello spettatore un senso di spaesamento surreale e di leggera inquietudine nel guardare situazioni comuni, questo approccio invita a problematizzare e immaginare nuovamente la realtà.
NORMAL in questo senso rifugge la differenziazione tra reale e artificiale giocando con l’idea
che questa opposizione binaria non solo non si può applicare al cinema, ma nemmeno alla
vita: anche la nostra vita è infatti il risultato di una complessa convergenza tra le norme sociali
che ci precedono e ci oltrepassano, e che agiscono inevitabilmente su di noi.