Note di regia di "Fortezza"
Aggirare il muro. Trasformare la limitazione in stimolo. Utilizzare il vincolo come spinta creativa. Questo il lavoro costante in carcere. Questa la scelta cinematografica.
Girare un film in un luogo vincolato da restrizioni obbliga a ripensare il tempo e lo spazio della ripresa, il tempo e lo spazio dei dialoghi, il tempo e lo spazio del silenzio, il tempo e lo spazio del vuoto.
Spesso proprio la difficoltà di adattamento a questa nuova percezione della realtà crea nei detenuti squilibri emotivi e identitari. La malattia del carcere. Il malessere. Quel morbo che rode ma che lega, tanto da rendere poi inconcepibile la vita all’esterno.
La ricerca della libertà interiore è nella scoperta della possibilità che un tempo dilatato permette all’anima. A questa è giunto Marco, uno dei detenuti protagonisti del film: “Qui il tempo non corre. Qui il tempo è spazio per te stesso. Per guardarti dentro. Per scrollarti di dosso quello che il tempo ti ha appiccicato addosso e che non eri tu veramente, mentre scorre”.
Alcuni soldati restano nella Fortezza liberi. Alcuni soldati escono dalla Fortezza prigionieri. Sbarre negli occhi, nelle gambe, nella testa. Gabbiani che volano alti ma fanno il nido nelle crepe delle mura.
Fortezza è un presidio militare, un carcere, un luogo dell’anima.
"
Ludovica Andò" ed
Emiliano Aiello