Sinossi *: Interamente girato all’interno della Casa di Reclusione di Civitavecchia, con protagonisti e co-autori i detenuti stessi, Fortezza è la rilettura di uno dei più importanti romanzi del ‘900: "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati.
Tre soldati giungono in un presidio militare solitario e ormai privo di ogni funzione difensiva. Qui il tempo è fermo e scandito da rigidi regolamenti, dinamiche di potere, ozii e abitudini radicate. Nell’attesa vana di un nemico che non verrà, i militari si consumano tra il bisogno di dare un senso alla loro permanenza e la resistenza all’attrazione che questo luogo opera su di loro.
Note:
NOTE SULL’ESPERIENZA TEATRALE IN CARCERE
Dopo dieci anni di lavoro all’interno degli istituti penitenziari, sentivo forte la frustrazione di non poter raccontare all’esterno quel miracoloso processo di trasformazione interiore che spesso ho visto attivarsi negli uomini che ho incontrato nei miei laboratori. L’utilizzo di classici della letteratura e del teatro si rivela immancabilmente come un potente risuonatore emotivo e intellettuale e, inserito in un più ampio lavoro sulla persona svolto in equipe con gli operatori dell’area educativa e sanitaria, può generare cambiamenti sensibili e duraturi.
"Fortezza" permette di fissare questo processo e di condividerlo con la società esterna.
"Fortezza", pur nella finzione del racconto, mostra degli uomini senza maschera, degli uomini trasparenti, in cui la corazza di pelle rigata, di tatuaggi, muscoli e cicatrici si scioglie nella profondità degli occhi, nella verità delle parole, spesso scritte da loro stessi. "Fortezza" racconta il carcere senza rivelarlo.
Ma parla anche delle prigionie dell’anima, quelle che ognuno si costruisce quando si incastra nei meccanismi del quotidiano, quando lascia che il tempo scorra con la freddezza di un metronomo e smetta di essere viva pulsazione.
Ludovica Andò