Note di regia de "I Ragazzi dello Zecchino d'Oro"
Girare un film che racconta un tuo vissuto, con parecchi episodi autobiografici, sembra facile ma non lo è. Hai paura di essere troppo coinvolto, di non essere obiettivo.
Per anni ho tenuto nascosto il fatto che ero stato un bambino dello Zecchino d’Oro, poi però mi sono reso conto che lo Zecchino d’Oro era un ricordo di tutti, e non solo un ricordo, perché i bambini di oggi continuano a cantare le canzoni che cantavo io.
Così ho capito che il mio passato era un passato generazionale e non solo personale, ho seguito questa strada e mi è venuta la voglia di raccontarlo.
Ho cercato di ricreare, il più fedelmente possibile, i miei anni ’60 a Bologna. Le location, le strade, l’Antoniano, i personaggi, prima tra tutte Mariele Ventre, la mia maestra di canto di allora.
Con quel tono un po’ da favola che ognuno di noi ha, ripensando a quando era bambino.
Ho avuto la fortuna di ricevere una risposta entusiastica da chiunque abbiamo coinvolto in questo progetto, dalla produzione, alle co-sceneggiatrici, agli attori, al direttore della fotografia, costumista, scenografo, fino al più giovane runner. Senza dimenticare l’intera città, innamorata del progetto.
Per questo è stata un’esperienza bellissima, dove ognuno ha messo del suo, senza sentire la fatica, e con il sorriso sulle labbra.
Perché, in fondo, ognuno di noi è stato bambino.
Ambrogio Lo Giudice