Note di regia de "La Vita Promessa 2"
È la prima volta, nella mia lunga carriera, che mi capita di fare il seguito di una serie: La vita promessa, andata in onda nel 2018. La storia, ambientata negli anni ’20, raccontava la drammatica emigrazione degli italiani in America, con al centro una donna, Carmela, la splendida Luisa Ranieri: ha avuto un’accoglienza strepitosa, appassionando milioni di spettatori. In molti, dopo la fine della serie, mi chiedevano quale fosse il destino di Carmela, se si sarebbe sposata con mister Ferri, interpretato dall’ottimo Trabacchi, o quello di Antonio, di Maria e Alfio, dell’amato Rocco e di Rosa e dell’intraprendente Alfredo, e se l’incubo di Spanò, cui ha dato il volto il sorprendente Francesco Arca, colpito al cuore da Antonio, fosse davvero finito per Carmela. Ma il materiale residuo, pur ricco e prezioso di Marotta e Toscano, non sembrava sufficiente per poter continuare questa storia in almeno tre puntate come richiesto dalla Rai e dalla Produzione; ed ecco che mi sono venuti in soccorso gli sceneggiatori: Simona Izzo, che aveva già curato la prima serie, e Franco Bernini. Gli autori mi hanno consegnato un ricco bottino che, pur tenendo conto dell’eredità dei due maestri, si arricchiva di nuovi personaggi.
Così è spuntato Bruno, un medico ebreo di origine italiana, un sensibile ma incisivo Stefano Dionisi, e sua figlia Sarah, interpretata da Sara Ciocca, una giovanissima attrice che ha dato prova di sé nell’ultimo film di Ferzan Ozpetek. Ma anche Cesare Vitale, un algido ma emozionante federale dell’FBI, per cui ho scelto Arturo Muselli, reduce dal successo di Gomorra. Sharon, la nuova fidanzata di Alfredo, ha il volto della bella Miriam Cappa, mentre Rita, una donna emancipata e affascinante, quello della poliedrica Eleonora Giovanardi, assistente del mitico Fiorello La Guardia, il sindaco di New York che ha le sembianze di un tonico Emanuele Salce. Marcello Mazzarella dà corpo a un minaccioso Lucky Luciano e l’eterea Demetra Bellina nei panni di Emily, ad una bellissima albina. Nel frattempo, i nostri bambini sono cresciuti: Turi, figlio di Maria e di Mosè, morto suicida, oggi ha tredici anni e il volto di un talentuoso Antonio Avella, che cederà il passo, nel 1943, al vibrante Brenno Placido. E Spanò? Che fine ha fatto? Lo ritroviamo sull’ambulanza di un penitenziario di massima sicurezza, spargendo sangue riesce a evadere. Non avrei potuto fare a meno di questo personaggio che incarna la passione accecante e distruttiva per la nostra protagonista e il male, perché di questo si tratta, che vuole infliggerle per punirla del suo rifiuto. Francesco Arca, ancora una volta, dopo il successo personale della prima serie, mostra un piglio che aggancerà di sicuro lo spettatore. Mi preme dire che mi sono trovato davvero bene sul set, eravamo diventati una famiglia già durante la prima serie. Mi sentivo un po’ il papà di questa tribù piena di giovani talenti ma anche di grandi certezze: in primis Luisa Ranieri che muove come un’abile burattinaia i fili della storia, guidando i suoi figli, nonostante siano diventati adulti. Una mamma a tutto tondo ma anche una giovane e amorevole nonna e, se possibile, ancora più desiderabile e appassionata che nella prima serie. Mi è bastato guardarla negli occhi, il primo giorno sul set, perché tutto avvenisse: Carmela era rimasta dentro di lei, e come una memoria carsica, riaffiorava… Nella storia, gli sceneggiatori l’hanno fatta crescere: ed eccola alla guida di un’automobile d’epoca, ha imparato l’americano e si muove con più disinvoltura anche negli affari, ma la sua anima è sempre un po’ inquieta. Gli scenari si sono arricchiti, i nostri personaggi si muovono in ambienti diversi, cominciamo nel 1937 e finiamo nel 1943 con lo sbarco degli Alleati in Sicilia: è cambiato il ristorante di Carmela, i nostri attori si godranno l’infinita spiaggia di Coney Island ma entreremo anche nei covi sinistri dei gangster, nei casinò dove si svolgevano i traffici dei malavitosi, nelle aristocratiche case dei magnati americani, e la storia ci porterà anche in una Germania assediata dal nazismo e nelle assolate campagne della Virginia. L’ansia da record e da successo, così come insegna la storia degli sportivi, l’ho sofferta: le aspettative create dalla prima serie erano alte. Mi sembra di non avere disatteso le speranze, ma saranno naturalmente gli spettatori ad avere l’ultima parola.
Squadra che vince non si cambia, ho riconfermato tutti i nostri preziosi e appassionati collaboratori: in primis Tani Canevari che ha illuminato con sapienza e stile la nostra storia, ma anche Roberto De Nigris; Paolo Vivaldi che con Alessandro Sartini ha accompagnato con nuove melodie i nostri personaggi; Enzo Forletta, a cui devo una superba scenografia; Alfonsina Lettieri, che ha vestito con creatività i nostri attori; Bojana Sutic, il mio aiuto, che ha tenuto il set come solo lei sa fare; Ian De Grassi che, con sensibilità e tenacia, ha architettato il montaggio; Anna Cuocolo che ha coreografato i momenti gioiosi della famiglia Rizzo; e poi Simona Castaldi che con trucco e parrucco ha sapientemente riproposto l’epoca. Un grazie a Giuseppe Giglietti Piso e a tutta la produzione, e naturalmente a Roberto Sessa, per Picomedia, cui si deve la sontuosa produzione e Max Gusberti che, insieme a Filippo Rizzello, ha accompagnato gli sceneggiatori Simona Izzo e Franco Bernini, presenti fino alla fine. Ma un ringraziamento particolare va al direttore Tinny Andreatta per Rai Fiction, cui sarò sempre grato per aver rinnovato la fiducia a me e a questa storia, e al vicedirettore Francesco Nardella.
Ricky Tognazzi