Note di regia de "Il Ballo"
Ci sono ferite che il tempo può guarire; ma come la mettiamo se il tempo è la ferita? Secondo me, esistono tre tipi di “tempo”: il tempo scientifico, il tempo emotivo, e il tempo della musica. Tra questi, il meno obiettivo mi sembra proprio il tempo scientifico, quello che ci ostiniamo a misurare con crescente precisione tramite orologi al quarzo e strumenti satellitari. Ovviamente non sto tentando di negare l’importanza di arrivare in orario agli appuntamenti (specialmente quelli a ristorante), tuttavia credo che la generale malinconia in cui navighiamo più o meno consapevolmente nel nostro quotidiano sia frutto dello scollamento tra il nostro tempo interiore e quello che ci viene ricordato ogni giorno dai nostri documenti di identità. E così, ogni tanto capita di voltarsi indietro e di vedere tutte le intenzioni passate che, negli anni, si sono sofficemente trasformate in “è andata così”. E’ da questo sentimento che è nato “Il Ballo”. Mi sono immedesimato nello stato d’animo di un uomo che sembra preferire rinunciare appoggiandosi alle proprie abitudini e all’auto-ironia; un uomo che ha sempre evitato di lasciarsi andare ad un ballo spontaneo e che, un bel giorno, decide di prendere per mano il proprio senso di inadeguatezza e di andare a lezioni di ballo. “Il Ballo” è stato realizzato con una struttura organizzativa più solida rispetto ai miei lavori precedenti, e il merito va unicamente a Riccardo Marchesini della casa di produzione di Giostra Film che, dimostrando grande amicizia e fiducia nei miei confronti, ha messo la sua esperienza e il suo network di relazioni a mia disposizione. Ho avuto anche il piacere di lavorare accanto ad amici professionisti che si sono raccolti a formare una troupe strutturata. Ad ogni modo, le novità organizzative non hanno cambiato il mio approccio alla regia: continuo a prediligere inquadrature fisse al movimento continuo della telecamera, e il movimento degli attori all’interno della cornice al movimento della cornice intorno agli attori. Continuo a rifiutare barocchismi e virtuosismi tecnici, credendo fortemente in un cinema essenziale e orgoglioso di 5 essere diverso dallo stile delle pubblicità, dei videoclip e di certi film in cui il mezzo sembra essere già di per sé il fine. Fare cinema dal basso con una mentalità indipendente, accettando – e non incolpando – le limitazioni, è una chiamata ed una necessità in tempi di timidezza economica e ristagno culturale. Con “Il Ballo” ho voluto portare avanti il mio umile discorso cinematografico: promuovere un cinema di contenuto, desideroso di essere ironico e artisticamente propositivo, fuggendo il più lontano possibile da quel tipo di cinema che sembra compiacersi di aver centrato e riabilitato il minimo comune denominatore culturale della nostra civiltà. Spero di avere fatto buon uso dei miei sedici minuti di cinema.
Luca Zambianchi