Note di regia de "La concessione del telefono"
La concessione del telefono è la storia di tre piccole palle di neve (che nel film hanno la forma di tre lettere inviate da Pippo Genuardi al prefetto Marascianno) che, rotolando piano piano, diventeranno una valanga che travolgerà il nostro povero protagonista. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Camilleri che è un gioiello di ingegneria narrativa. Non solo per la struttura del libro così originale che alterna le “cose scritte” (lettere, documenti, articoli di giornale) con le “cose dette” (dialoghi secchi senza descrizioni). Ma anche perché la storia de La concessione del telefono è una sorta di bomba ad orologeria nascosta sotto un tavolo, di cui il lettore e lo spettatore possono solo intuire la presenza. E anche gli stessi personaggi e prima di tutto Pippo Genuardi non ne sentono il ticchettio, che aumenta di scena in scena. Pensano di essere più ‘sperti di molti, ma quando capiranno di essere più scemi di altri sarà troppo tardi. Con il film abbiamo provato a rendere onore a questa originalità del libro di Camilleri, dividendo lo schermo in modo naturale per lasciare uno spazio in cui poter scrivere i vari documenti, e cercando con voci over e altre idee visive di mantenere la forza di come le parole sulle lettere e nei documenti raccontino cose diverse da quello che si vede o si sente. Così abbiamo provato a raccontare come la formalità della burocrazia diventi un gorgo in cui il nostro protagonista, e forse con lui il “senso” stesso della terra senza tempo in cui vive, verrà risucchiato. E la beffa è che dentro quella voragine dello Stato e in quelle spire della Mafia, il Genuardi ci si è cacciato da solo. Ma perché si è “amminchiato” così tanto con questa diavoleria del telefono? Lo scopriremo solo nel finale a sorpresa, come lo ha costruito il maestro siciliano, anche se nel film sono seminati indizi della verità al tempo stesso assurda e ovvia che sta sotto tutta questa vicenda. Un libro e un film che nonostante il tono brillante ed esilarante, sono un vero e proprio j’accuse sarcastico contro le storture e le contraddizioni della Sicilia e forse dell’Italia intera. Una commedia sulla stupidità umana (da quella istituzionale e burocratica, fino a quella sentimentale) e, al tempo stesso, una satira sociale e politica di incredibile attualità.
Roan Johnson