BAR GIUSEPPE - Un microcosmo per una leggenda universale
Giulio Base scrive e dirige un nuovo film di ispirazione cristiana dove, sostituendo nel titolo la parola Bar con San abbiamo chiaro il disegno, il percorso e la meta.
Una rilettura della figura del papà per eccellenza, dell’uomo che si sacrifica e passa sopra ad ogni torto, ma sempre con la schiena dritta, per far sì che il destino si compia. La Vergine (di fatto e di nome) è una giovanissima immigrata che lo aiuta nel suo bar sulla statale, dopo la morte improvvisa della moglie.
La storia d’amore sincero e puro, immerso in un contesto di povera materia, si sviluppa in un oggi adattato, in cui si intravedono momenti biblici e leggendari: dal bue e l’asinello fino all’hobby per la falegnameria di Giuseppe. Una storia semplice ed efficace, con personaggi ben chiari e disegnati a grana grossa, elementi ideali per arrivare a toccare cuori predisposti e sensibili a queste tematiche.
Le leggende del cristianesimo continuano ad influenzare la cultura dei nostri autori di cinema, affascinati da queste vicende superiori o semplicemente troppo infingardi per trovarne di nuove. Dopo il finale de
“Il Vizio della Speranza” di Edoardo De Angelis, in cui la protagonista partorisce in una capanna assieme al suo salvatore, “Bar Giuseppe” ripropone temi e personaggi ormai consunti senza aggiungere nulla malgrado la tanto inseguita attualizzazione. Oltre ad ambienti e personaggi, poco viene adeguato alle possibilità dell’oggi.
Le dinamiche, i giudizi, le risposte potrebbero cambiare, non soltanto gli ambienti o le origini dei personaggi. Questa sarebbe stata un’operazione interessante, come ad esempio in
"Troppa Grazia" di Gianni Zanasi, dove all’apparizione della Madonna, la prescelta per diffondere la notizia (Alba Rohrwacher) risponde di non essere interessata e di preferire la sua vita normale e la domenica pomeriggio al centro commerciale.
Giulio Base fa però un buon lavoro con macchina da presa, forse superfluo, movimentando le scene e curando la qualità delle inquadrature. All’opposto
Ivano Marescotti, nei panni di Giuseppe, fa della moderazione la sua chiave, trovando una credibilità che raccoglie presente e passato. Anche
Nicola Nocella, figlio grande del Padre, entra nel personaggio con misura e attenzione a differenza del fratello,
Michele Morrone, che fatica a togliersi di dosso gli stereotipi (forse presenti in scrittura) del figliol degenerato anni ’80, tutto droga, alcol e malaffare.
25/05/2020, 16:26
Stefano Amadio