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DANILO MONTE - "Nel Mondo" a Corigliano d'Otranto


Intervista con il regista che racconta la sua vita e la crescita del figlio Alessandro. Il documentario presentato in Puglia per la Festa del Cinema del Reale


DANILO MONTE -
Danilo Monte e Laura D'Amore
"Nel mondo", documentario di Danilo Monte, è il terzo film della trilogia di un percorso autobiografico del regista torinese. I temi trattati riguardano sempre la famiglia; il primo film "Memorie" racconta il viaggio, reale e personale, del regista insieme a uno dei suoi due fratelli; nel secondo "Vita nuova" decide, insieme alla moglie Laura D’Amore, di condividere l’esperienza intima della fecondazione in vitro che ha portato alla nascita del loro piccolo; nell’ultimo Danilo e Laura (produttrice del film) continuano il loro percorso decidendo di filmare il primo felice anno di vita del loro bambino Alessandro e i suoi progressi.

Ma la morte di un familiare impone il tempo del silenzio e della riflessione; un documentario che affronta temi universali come la vita e la morte. I due protagonisti del film, senza la presenza di Alessandro che per la prima volta in tre anni hanno lasciato dai nonni, hanno presentato il documentario alla 17° edizione de La Festa del Cinema del Reale – Gold Edition tenutasi in questi giorni nel borgo del Castello di Corigliano d’Otranto.

È molto coraggioso mettersi completamente a nudo davanti alla telecamera e condividere aspetti di vita intimi che chiunque tende a conservare esclusivamente nella sfera privata. Cosa ti ha spinto a raccontare te stesso così dettagliatamente?

"Per me è stato abbastanza spontaneo vedere nel film la possibilità di raccontare allo stesso tempo un percorso umano e filmico; nel momento in cui mi accadevano delle cose importantissime o quando volevo provare a sciogliere dei nodi della mia vita ho pensato di riuscire ad affrontarli girando. Nel primo film in particolare (Memorie) e in parte anche in quelli successivi, la motivazione era di fare anche autoterapia e utilizzare il mezzo cinematografico per affrontare delle questioni ancora irrisolte. Il problema è riuscire a vivere la vita mentre si gira un film, soprattutto nel momento in cui stai raccontando che stai diventando papà. Ad un certo punto, soprattutto per quello che è successo a mio fratello, mi sono bloccato, ho pensato che fosse impossibile raccontare la paternità mentre si stava concretizzando. Ho risolto questo impasse pensando che diventare genitore è davvero una cosa difficilissima, quasi impossibile, soprattutto da collocare e valutare, per cui un film che non riuscivo a portare a termine diventava il racconto perfetto della difficoltà di diventare padre".

Hai utilizzato la telecamera come se fosse una lente d’ingrandimento del tuo mondo: nei primi piani di tuo figlio e di tua moglie, nelle scene di vita quotidiana la caratteristica principale è che nulla è costruito, ma segue un flusso naturale.


"Il fulcro del documentario, anche se racconta di un rapporto a tre, è il punto di vista del padre che nel momento in cui nasce suo figlio non sente un collegamento fisico con lui e man mano che i giorni passano impara a conoscersi: il film è il racconto di questo rapporto. L’utilizzo della telecamera è un filtro, perché grazie a questo mezzo alcune cose si possono risistemare, migliorare e affrontare; è una lente di ingrandimento, grazie all’obiettivo puoi metaforicamente vedere più da vicino qualcosa che senza il percorso filmico non puoi collocare così bene. Quando termini le riprese tutto il materiale puoi riguardarlo, cercare di sistemarlo soprattutto attraverso il montaggio che ti introduce in un’ulteriore fase di coscienza di quello che è stato".

In questa storia non avete avuto paura a mostrare quelle che sono le problematiche che un uomo e una donna affrontano dopo la nascita di un figlio. La maggior parte delle coppie tende a nascondere sotto al tappeto le avversità, voi invece lo avete raccontato in maniera delicata ma soprattutto reale.

"Alcune volte celare queste difficoltà è involontario, nel senso che se noi non avessimo il film che le documenta non ci ricorderemmo di quella fatica, di quelle sensazioni. Effettivamente poi, col tempo, l’innamoramento per il bambino è talmente grande che sorvoli, dimentichi. Nel documentario è ben descritto che, dal momento in cui nasce un figlio, tutto cambia per sempre e devi affrontare questa rivoluzione, cercare di barcamenarti".

Verso le fine del film hai girato una scena che non racconta più la vostra famiglia a tre, ma compari solo tu e la tua famiglia; due minuti che ti vedono protagonista mentre ti lasci andare ad un pianto di dolore e liberatorio mentre sfogli un vecchio album di fotografie.

"In quel momento si è creata la sensazione molto forte che mio fratello e mio figlio si assomigliano, per cui in quelle foto il bambino ricciolo che è mio fratello, assomiglia tantissimo a mio figlio com’è ora. Questo collegamento mi ha fatto salire tutta l’emotività; nel film è una cesura, anche come stile".

Hai scelto di raccontare il primo anno di vita di tuo figlio seguendo il susseguirsi temporale delle stagioni; un viaggio che inizia e termina con la primavera. Hai associato il ciclo delle stagioni anche a quello della vita?

"Tutto è raccontato con l’andamento delle stagioni, ogni momento ha un colore collegato a un’emozione; si inizia con la primavera che rappresenta la gioia, l’estate in cui tutto è sereno, poi arriva l’autunno in cui cominciano i primi problemi, poi l’inverno in cui arriva la morte e poi ritorna la primavera. Nella scena in cui riprendo la nostra ombra per terra e raggiungo loro per me, anche se è una cosa molto metaforica, quello è il simbolo dell’unione di noi e della famiglia che si è creata, il momento in cui il nuovo arrivato è diventato parte di un nucleo prima composto da me e mia moglie. Nella scena finale è successo qualcosa di magico, mio figlio che mi cede il monopattino e corre dietro la camera, come se mi volesse dire “spostati! Ora divento io il regista della mia vita!”

12/08/2020, 11:52

Sara Valentino