Note di regia de "La prima donna"
Per raccontare la Storia non è sempre necessario rifarsi alle biografie degli individui cosmico-storici, a quelli che Hegel considerava, la punta dell’iceberg, i napoleoni che cavalcano lo spirito. Le biografie dei grandi statisti, sempre esclusivamente maschi, coincidono certamente con la grande storia, con gli eventi che segnano gli snodi del passato. E tuttavia c’è un altro modo per far parlare quella grande storia, per riscriverla laddove presenta le semplificazioni imposte dal potere costituito, da quel potere che scrive a posteriori quella che noi chiamiamo la Storia.
Non si tratta di registrare il grido degli umili contro le angherie dei potenti; e non sostengo che per fare storia bisogna rifarsi alle storie individuali, alle storie accidentali, alle storie degli oppressi, alle epopee degli eroi schiacciati dal Male.
La drammaturgia non è storia politica.
Per me, per il mio lavoro di storico, si tratta di individuare quelle storie che sono state spezzate, che sono state cancellate ma che nel momento in cui si sono svolte avevano un potere, un potere in atto. Riprendere in mano le “storie interrotte” per incidere sul presente. In altri termini, si tratta di attualizzare la potenza di una storia individuale per poter farla tornare a vivere.
Il mestiere dello storico è come quello del sarto: riannoda i fili tagliati per ricostituire un tessuto. Le ferite dello spirito si rimarginano sotto le cicatrici del tempo.
La storia di Emma Carelli è uno di questi fili recisi, è una storia interrotta, perché rappresenta la storia dell’emancipazione bloccata delle donne. Bisogna cercare di riprendere quel filo e cicatrizzare quel taglio.
La Carelli era una donna che nel mondo del teatro, quando il teatro era un’industria fiorente, aveva assunto un potere considerevole. Nel 1917 era “il manager” più corteggiato dagli artisti di tutto il mondo. Poi, nel giro di pochi anni, venne liquidata.
Ci sarebbe poco da raccontare dal mio punto di vista se non fosse che, contestualmente, le donne europee seguirono la sua stessa parabola. Dopo la fine della guerra gli uomini tornarono dal fronte e ricacciarono in casa le donne che intanto li avevano sostituiti. Quelle donne, prima della guerra, erano arrivate a rivendicare il voto e poche ricche borghesi (come la Carelli) avevano assunto posti di rilievo. Poi, i totalitarismi accentuarono questa rivincita del maschio fino ad arrivare al tenero stereotipo della donna angelo del focolare. Tuttavia, quello che mi ha spinto a lavorare in questo senso, cioè a considerare Emma Carelli l’archetipo delle donne europee del primo quarto del Novecento (e che hanno subito una violenza di genere), è un dato statistico: il 1928 (casualmente, anno della sua morte) è l’anno in cui si registra il maggior numero di suicidi al femminile della storia d’Italia (a pari merito con il 1924 e il 1926, dati che conferiscono ancora più potenza al fenomeno). Nessuno potrà mai entrare nella testa di quelle donne. Un’ipotesi però mi sembra quantomeno ragionevole: piuttosto che tornare alle vecchie catene, quelle donne che si erano emancipate nei decenni precedenti preferirono la morte.
Il dramma di Emma è la storia delle donne. E oggi il tema della parità di genere è la questione politica per eccellenza, tornata di prepotenza alla ribalta. Perché c’è un procedere della storia metafisica che appiana tutte le ingiustizie. È l’astuzia della Ragione, la forza della Destino. Dio è maschio e femmina.
Ma c’è di più: prima di essere una manager la nostra protagonista è stata una delle più osannate soprano (e lo scrivo al femminile non a caso) del mondo. Fu la prima a interpretare Tosca fuori dall’Italia. Tosca, che uccide piuttosto che sottostare al potere e si uccide piuttosto che perdere l’amore.
C’è una frase di Emma Carelli che in qualche modo ha determinato la struttura narrativa del film: “Il respiro di Tosca è il mio respiro, il suo grido è il mio”. Avrei provato a raccontare la storia di Emma Carelli nello schema formale e sostanziale del capolavoro pucciniano, con una continua interferenza tra l’attrice, la donna, le donne.
Dunque, per cominciare tre atti come Tosca, cercando di mantenere anche i rapporti temporali. E poi indugiare sulle affinità drammaturgiche: Emma vive d’arte e d’amore, il suo amore è travagliato, Emma va a trovare il suo uomo in carcere, Emma sfida il potere, Emma tenta il suicidio.
Se la storia di Emma coincide con quella di Tosca e quella di Emma Carelli è la storia paradigmatica delle donne, un rapporto tra Tosca e le donne di quegli anni avrebbe dovuto esserci. Così, ho provato a fare un film con una struttura tragica che racconta la tragedia delle donne nella questione di genere.
Confido nella forza catartica della tragedia, come ce l’ha descritta Aristotele, nella potenza del Coro che dà voce all’inconscio, nella struttura duale del Tutto, nella parte lunare di ogni maschio.
Questo film è per mia figlia Costanza, che un giorno sarà grande, e che spero non dovrà mai pentirsi di essere nata femmina.
Tony Saccucci