Note di regia di "La Pace Non e' uno Stato Naturale"
Il film, potrei sinteticamente definirlo come un elogio alla diserzione, ed il suo protagonista è di fatto un anti Rambo in quanto soldato crisalide che compie una libera metamorfosi. Esso mostra i sentimenti umani più puri, in un percorso circolare che va dall’autenticità dell’innocenza, alla retorica dell’obbedienza di dannunziana memoria, attraversando i sentieri psichici minati dalle convinzioni ideologiche e dagli archetipi di eroismo primordiale. Il film vede la rivalsa dell’individuo sulle dottrine e liturgie del potere, vede contrapporre la resilienza e l’istinto di sopravvivenza, allo stereotipo del sacrificio patriottico che affonda le radici nel nichilismo futurista del primo dopoguerra. La violenza, la pace e la guerra, sono i temi oggetto della narrazione che veicola lo spettatore su due binari paralleli, interconnessi. Un binario segue il percorso dell’uomo comune, di chi subisce cioè l’azione di governi autoritari, di ideologie e politiche coercitive, l’altro conduce attraverso la riflessione ed il ragionamento, al raggiungimento d’una comprensione e di una consapevolezza illuminanti. I due protagonisti, una coppia italiana che vive la separazione forzata a causa della campagna fascista in Unione Sovietica, sono entrambi l’espressione involontaria della cultura di regime che soccomberà col tempo, alla sopraggiunta consapevolezza della propria condizione di pedine sacrificabili.
La grande sfida, è stata quella di imbastire un tessuto narrativo, attingendo a piene mani dagli insegnamenti di autori come Arthur C. Clarke, registi come Stanley Kubrick, studiosi come Carlo Rovelli ed Edoardo Boncinelli, filosofi come Immanuel Kant e Sigmund Freud, con l’intento di comprendere le ragioni per cui l’umanità, abbia da sempre adoperato la violenza come strumento di evoluzione naturale, e altresì di immaginare cosa potrà riservarci il futuro se l’uomo continuerà ad alimentarsi di violenza. E’ un primo esperimento di film lungometraggio che tende al realismo ma che è inevitabilmente contaminato dalla “ingombrante” razionalità stilistica che da sempre mi contraddistingue. Alle persone curiose, mosse dal disincanto, a coloro i quali lo storytelling dominante non ha mai affascinato, rivolgo il mio invito alla visione del film che vede protagonisti attori molisani, paesaggi e luoghi conosciuti, trasformati in luoghi dell’immaginario attraverso l’alchimia della finzione. Un grandissimo ringraziamento va agli amici senza i quali non avrei mai concretizzato questo mio anacronistico esperimento filmico, Michele Di Cillo, Maria Teresa Spina, Aldo Gioia, Salvatore De Santis, Luciano Bucci, Oreste Masella, Francesca Bertoni, Francesco Vitale, Maria Assunta Cerio e Roberto Faccenda. Un grazie di cuore a tutti i generosi collaboratori (sindaci, comparse) tecnici, musicisti, costumisti che hanno preso parte alla produzione con entusiasmo e professionalità.
William Mussini